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CARMELO NEL CUORE

15.02.2013 | 14:40

 

Una telefonata in pieno agosto, lo scorso agosto. “Ho 40 di febbre, sto male”. Ora che Carmelo Imbriani non c’è più, ma ci sarà sempre, mi vengono in mente la sua angoscia e quello squillo all’improvviso. “Sarà broncopolmonite, sono in Umbria con la squadra, mi voglio curare qui. Il presidente vuole che rientri a casa”. Carmelo era in sella al Benevento, in coppia con il fidato Martinez. Aveva un entusiasmo che neanche un ragazzino alla prima gita scolastica. “Ma se io torno giù cosa penseranno di me?”. Il suo cuore buono, il suo altruismo, i suoi problemi in secondo piano. Carmelo nel cuore, un fratello per me.
L’avevo conosciuto a Cosenza quando facevo l’inviato per il Corriere dello Sport. Ci eravamo persi di vista, avevamo amici in comune, ci mandavamo i saluti. Ma ci ritrovammo a Capri, qualche anno fa, durante una manifestazione organizzata da Pino Taglialatela. E non ci siano più persi di vista. “Devo allenare, faccio bene?”. “Questo è il mio mondo, non voglio sbagliare”. “Lo prendo quel centrocampista? Ha fame, ha entusiasmo, oppure sbaglio?”. “Ma pensi che il mio sistema di gioco possa andar bene per un grande Benevento?”. Ora mi rimbombano queste frasi, un supplizio.
Carmelo e Alfredo: gli amici sinceri, non l’allenatore e il giornalista. Mi confidava mille cose, anche di lavoro, che per me erano sacre, intime. C’erano notizie su notizie, ma non mi interessava l’aspetto professionale, le tenevo per me. Da Alfredo a Carmelo, andata e ritorno. Un giorno ci mettemmo a ridere, sussurro’: “Devo venire a trovarti a Roma, così facciamo la formazione e mi dici dove sbaglio”. Scherzavamo così, mi strappava un sorriso sempre perché ti parlava con la modestia di chi temeva di disturbare. Scegliendo le persone che pensava potessero non tradirlo. Mai.
Ci sono presunte amicizie che crollano dopo dieci anni perché scopri che sono fatte di interessi, falsità e pugnalate alle spalle. Ci sono amicizie che hanno un dna di ferro, quello della lealtà a prescindere. Questo era Carmelo. E da quel famoso agosto ogni telefonata era una bastonata. “Non era broncopolmonite, qualcosa di più”. “E’ un brutto male, io sarò più forte”. Si caricava da solo, ci sentivamo sempre e aspettava una mia parola per trovare conforto, facendomi sentire piccolo piccolo. E quando lo salutavo con il groppo in gola, durante “Lo sai che?” su Sportitalia, scriveva sms nel cuore della notte. E mi ringraziava. “Un amico come te, in questi momenti..”. Io chiudevo gli occhi, sperando e pregando.
Poi ci fu la stangata romana, una visita di controllo che doveva dargli speranze. E che lo disintegrò moralmente. “E’ andata male, lui è tornato: non ho vinto, sto perdendo”. Piangeva, sapeva che sarebbe ricominciata la salita. L’ho sentito fino a un mese e mezzo fa. Da quel momento quando telefonavo mi rispondevano la moglie e il fratello. Avevo capito. “Carmelo non può parlare, è debole”. Carmelo se ne stava andando, anche se mai se ne andrà.
Non esistono le parole e gli aggettivi, sono aboliti da qualsiasi vocabolario quando una persona ti resta davvero dentro. Esistono semplicemente appunti sparsi e ricordi indelebili. Il tempo si ferma: andrà avanti, ma tornerà indietro. Nessuno scardinerà il forziere dei ricordi. Esiste un alito di vento, soffia al contrario e respinge quello tsunami di lacrime che non si ferma più. 
Ciao Carmelo, non importa se mentre scrivo mi viene da piangere. Il tuo ricordo sarà una carezza infinita. Nel cuore per sempre.