Oggi è un anno. E a me sembra che siano trascorsi pochi giorni. Il 15 febbraio 2013 ci lasciava Carmelo Imbriani, un "fratello" per me. Il mondo del calcio ti regala gioie e delusioni, amici veri e altri molto presunti, approfittatori e opportunisti, gente che ti apre la porta di casa e magari poi te la sbatte in faccia senza pensarci un minuto. Dopo averti detto, dieci o mille volte, "tu sei un amico vero". E' la vita, devi accettarla, anche se detesterai all'infinito alcune sfaccettature.
Carmelo era un fratello. Lo avevo conosciuto ai tempi del Cosenza quando facevo l'inviato per il "Corriere dello Sport-Stadio". Lui giocava, si divertiva, faceva gruppo, dava un senso - profondo - alla sua professione. Poi c'eravamo persi di vista, spesso succede così, pur mandandoci i saluti quando capitava. Tramite amici comuni: Peppuccio Pagliuso e Pino Taglialatela sono i primi due che mi vengono in mente. La stima di sempre, l'affetto di sempre. E anche la consapevolezza che, quando l'amicizia è vera, puoi anche non sentirti per anni interi, ma il rispetto misto ad affetto resta. Profondo, indissolubile.
Un giorno, non ricordo esattamente quando, mi telefonò per dirmi: "Voglio fare l'allenatore, dammi una mano". Aveva appena smesso di giocare, a Benevento, quando il patron Vigorito gli chiese di restare nella famiglia con un altro ruolo. Settore giovanile, un classico. E da quel momento una telefonata dietro l'altra. Quelle tre parole "dammi una mano" avevano un significato profondo, della serie: confrontiamoci, è un mondo che non conosco, mi serve un consiglio, ti posso disturbare?
Per me era un piacere. Ho avuto e continuo ad avere rapporti con tanti allenatori, spesso intimi e privati, ricchi di confessioni e rivelazioni che devono restare lì. E che non possono avere traccia su un sito o in televisione, sarebbe un tradimento. Da quel momento ho sentito Carmelo almeno due o tre volte a settimana, ci eravamo abbracciati un'estate a Ischia per un meeting con tanti ex calciatori. E lui mi esponeva al telefono i dubbi e le perplessità, le incertezze e i timori, gli stati d'animo più variegati.
Poi... Poi è difficile spiegare cosa accadde quell'estate del 2012. Ero in vacanza in Puglia, mi ricordo soltanto che era sera, molta gente si avvicinava a chiedermi notizie e spunti di calciomercato, quando sul display comparve il suo nome. Gli risposi e ascoltai dall'altro filo una voce flebile, come un leone senza artigli. "Ho la febbre a quaranta, non so cosa sia, sono preoccupato, domani torno a casa". Era in ritiro in Umbria, la sua bravura accompagnata da quell'indispensabile dose di umiltà, gli avevano permesso di rilevare la prima squadra del Benevento, in compagnia del fidatissimo Martinez. Carmelo aveva una voce spenta e io pensai:" Sarà una broncopolmonite, qualcosa da curare", ma senza andare oltre. Non sapevo, nè potevo lontanamente immaginare, che il Male aveva già posizionato il pallone sul dischetto. E avrebbe calciato, dopo poco tempo, infilando quel maledetto rigore all'incrocio dei pali. Nessun portiere in volo avrebbe potuto intercettare.
Dopo un po' di tempo arrivò la sentenza. Quella cosa brutta che non vorresti mai ascoltare, la diagnosi che spacca il tuo cuore in due e quello degli amici veri. Ma che poi, quasi contemporaneamente, apre alla speranza. Perché sentivi lui che ti cercava dopo la chemio, che ti incoraggiava quasi come se il problema fosse il tuo, che ti diceva "dai, Alfredo, voglio tornare ad allenare. E tu sarai con me". Come quando, durante la sessione di calcio mercato, mi telefonava per dirmi "sto prendendo tizio o caio, come li vedresti in un centrocampo completato da...?".
Tre cose non dimenticherò. L'ultimo controllo, quello della presunta speranza, che ha fatto precipitare qualsiasi forma di ottimismo. Fino a pochi giorni prima mi telefonava, io ero in diretta a Sportitalia. Anzi, mi mandava i messaggi, mi diceva di salutarlo, io lo facevo con il groppo in gola. E lui il giorno dopo "grazie, amico mio, ieri non ce l'ho fatta a risponderti, sono crollato". La seconda cosa, la più terribile, che mai sparirà dalla mia mente sono stati i profondi silenzi quando gli telefonavo o gli scrivevo e lui non reagiva più. Non poteva. Al massimo dall'altro capo il fratello Gianpaolo che mi ragguagliava, lo stesso Gianpaolo che poche sera fa ho rivisto in tv a Napoli e quasi quasi ho abbassato gli occhi: mi veniva da piangere. Sul sito "wwwimbrianinonmollare.it" Carmelo vive sempre e sempre vivrà, eterno testimonial di un calcio pulito e genuino. Abbiamo scelto di pubblicare proprio la foto che Gianpaolo sta diffondendo e che rappresenta il miglior passaparola.
La terza cosa, la più crudele, si riferisce alla sera della sua scomparsa. Il 15 febbraio 2013, appunto. Dovevamo andare in diretta, sempre su Sportitalia, Michele Criscitiello mi cercava disperatamente per anticiparmi la tremenda notizia, conosceva il rapporto fraterno che mi legava a Imbriani. Ma non era riuscito a rintracciarmi, un tormento. Andai in onda e, qualche minuto dopo la sigla, vidi l'immagine di Carmelo. E capii. Sussurrai qualcosa dentro di me, mi tenni forte alla poltrona, aspettando con ansia il primo stacco pubblicitario: non riuscivo a realizzare, pur avendo purtroppo capito cos'era accaduto.
Stasera sará un anno da quel maledetto 15 febbraio. E vorrei organizzare una trasmissione tutta per lui. La organizzerò, con la testa e con il pensiero.
Ciao Carmelo, amico vero.