Il calcio, si sa, non è una scienza esatta. A volte però 2+2 può fare 4 anche in questo magnifico circo. Il nostro Jody Colletti, all’interno di questo spazio, prova a tratteggiare scenari di vario tipo, ma sempre al limite della provocazione. Pensieri in libertà.
Premessa: Antonio Conte è un grande allenatore, nessun dubbio. L’ex ct azzurro riesce a tirar fuori dai suoi ragazzi il 110%, tatticamente non è duttilissimo ma il suo posto nel gotha della panchina non è in discussione. Però vanno messi dei puntini sulle “i”. Il tecnico salentino a volte scivola su autentiche bucce di banana, in merito a valutazioni di organico o singoli a sua disposizione. Nel primo caso emblematico fu già l’addio, a stagione 2014-15 già iniziata, ad una Juventus che lui non reputava in grado di competere fuori dall’Italia. E che qualche mese dopo Allegri portò in finale di Champions. Ma al Chelsea don Antonio, come cercheremo di spiegare in seguito, si sta superando. Nel secondo, come non pensare alla ricerca spasmodica di un altro centravanti, culminata a gennaio nell’arrivo di Giroud, quando in casa aveva (e ignorava costantemente) un certo Batshuayi che già a Londra - prima che a Dortmund - poteva fregiarsi di una media gol da urlo. Fortunatamente, per i Blues, Marina Granovskaia lo ha ceduto al Borussia soltanto in prestito secco. Senza dimenticare il defenestramento di Diego Costa, né tantomeno le recenti esternazioni dell’allenatore italiano su Morata. Magari Abramovich non sarà stato contento di scoprire di aver speso 80 milioni circa per uno ”che era sempre stato una riserva”.
In generale, sono anche certe uscite mediatiche di Conte a far riflettere. A fine settembre, un paio di mesi dopo il sontuoso rinnovo fino al 2019 riconosciutogli dalla società, quella poco tempestiva saudade, quella “voglia di Italia” che il coach salentino avrebbe potuto risparmiarsi, prima di correggere il tiro. Mercoledì sera, dopo l'eliminazione dalla Champions per mano del Barcellona, con Messi a presentargli il conto del ristorante da 100 euro, il condottiero leccese ha dichiarato, sintetizzando: “La differenza nella doppia sfida l’ha fatta Leo, il numero uno. Siamo stati sfortunati ma ricordiamoci che affrontavamo una grande squadra come il Barcellona, noi ancora di strada dobbiamo farne tanta per competere, siamo giovani”. Se ci si limitasse al virgolettato, sembrerebbero le parole di un qualunque Davide che non è riuscito ad impensierire Golia. Come se il Chelsea poco o nulla avesse fatto, in questo biennio, per innalzare il livello della rosa. E qui, al di là degli innumerevoli “siamo pochi, le assenze pesano” o “non abbiamo grandi alternative” disseminati nel tempo, ci tornano in mente le dichiarazioni rese da Conte alla stampa inglese poco più di un mese, era l’11 febbraio: “Probabilmente sono il migliore ad ottenere il massimo dai miei uomini, ma il peggiore a farmi accontentare sul mercato”. Ebbene, il troppo stroppia (o storpia che dir si voglia, l’Accademia della Crusca ammette entrambe le versioni pur benedicendo la prima). Perché è vero che Conte in questo biennio non è stato assecondato in toto, pensiamo a Lukaku (poi finito al Manchester United) o al non entusiasmante cavallo di ritorno David Luiz. Stendiamo un velo sull’accoglienza riservata al cadeau di gennaio Emerson Palmieri, “non me lo ricordo”, da parte di chi sperava l’estate scorsa di abbracciare Alex Sandro.
Ma è altresì vero che il Chelsea in questi due anni scarsi di gestione Conte ha speso ben 425 milioni per i soli cartellini, bonus compresi. Nel dettaglio: Batshuayi (39), Kanté (36), David Luiz (35), Marcos Alonso (23+3) – Morata (80), Bakayoko (40), Drinkwater (38), Zappacosta (25+4), Rudiger (35+4), Giroud (17), Barkley (17) Emerson Palmieri (20+9). I numeri parlano chiaro. Inoltre, anche in Inghilterra Antonio non si è dimostrato un allenatore da coppa, da dentro o fuori, da triplo fronte. La scorsa annata ha vinto la Premier League al primo colpo, per giunta a mani basse, una belle impresa: sul lungo periodo Antonio sa essere formidabile, specie se agevolato dall’assenza di impegni europei; poi però ha perso contro l’Arsenal sia la finale di Coppa d'Inghilterra che la Community Shield. Quest’anno la corsa in Champions, dopo aver chiuso il girone alle spalle della Roma, si è fermata come detto al Camp Nou, in Coppa di Lega i Blues sono stati eliminati sempre da Wenger (non un paradigma, quanto a vittorie), mentre dodici mesi fa nella stessa competizione erano caduti per mano del West Ham. Il guaio è che in campionato, come se non bastasse, Hazard e compagni hanno abdicato dopo poche giornate e al momento, con 8 gare da giocare, accusano 5 punti di distacco dal quarto posto, l’ultimo utile per qualificarsi alla prossima Coppa dei Campioni. Resta soltanto la FA Cup per cercare di salvare la stagione, oggi il successo di Leicester è valso l’accesso alle semifinali. Ma anche se Conte trionfasse in Coppa d'Inghilterra, sarebbe comunque difficile immaginarlo ancora in sella la prossima stagione, in aderenza all’accordo in essere.
Anche perché se uno come lui, nella conferenza stampa di ieri, è arrivato a dire “non è vero che vincere almeno un trofeo è importante, non si può giudicare una stagione soltanto dai titoli, anche quest’anno stiamo facendo un fantastico lavoro”, beh, evidentemente qualcosa si è inceppato. A maggior ragione dopo 435 milioni investiti sul mercato dalla proprietà. A maggior ragione per chi, da giocatore prima e allenatore poi, era stato uno degli emblemi in carne ed ossa del bonipertiano “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Chiosiamo ponendoci un quesito: esiste oggi un club, gradito a Conte, in grado di accontentarlo sempre e comunque? Ci diamo anche la risposta: probabilmente no. E magari il ritorno a Coverciano potrebbe essere la soluzione più logica, anche se le big d'Europa lo stanno già corteggiando.