DEMIURGO DEL SIVIGLIA, FUTURO A TRIGORIA: MONCHI, L’ETICHETTA DA TOP DIESSE
01.04.2017 | 10:55
Premessa: Siviglia è la citta spagnola che da più tempo ha una squadra di calcio, precisamente dal 1890. La denominazione di Sevilla Fútbol Club vide la luce nel 1905, frattanto erano nate anche Barcellona (1899) e Real Madrid (1902), giusto per limitarci alle due tradizionali grandi. Ebbene, nei suoi primi 116 anni di storia il club andaluso aveva vinto complessivamente 4 titoli ufficiali: una Liga, unico e solo successo in campionato datato 1946, e tre Coppe del Re, l’ultima nel 1948, al di là delle 18 Coppe dell’Andalusia prima della Seconda Guerra Mondiale. Dopodiché 58 anni a bocca asciutta, stagioni spesso anonime con diverse retrocessioni tra i cadetti al passivo. A partire dal 2006, invece, ad ingombrare la bacheca nervión sono arrivati altri 9 trofei: due ulteriori Coppe del Re, una Supercoppa di Spagna, una Supercoppa europea e ben cinque Europa League, competizione che in precedenza veniva indicata come Coppa Uefa.
Basterebbe questo dato per giustificare quanto accaduto ieri nella pancia del Ramón Sánchez-Pizjuán, lo stadio della società oggi presieduta da José Castro. La fine di un’era, quella di un altro Ramón, Rodríguez Verdejo, per tutti Monchi. Il demiurgo del miracolo Siviglia, il vero papà della striscia di successi più inattesa dell’epoca recente. Come ben sapete, non stiamo parlando di un allenatore bensì di un direttore sportivo. Mai l’addio di un diesse aveva fatto così tanto rumore, suscitando una simile eco mediatica. Perché mai, non ce ne vogliano i grandi dirigenti italiani del presente e del passato, era stato a tutti evidente come dietro i successi di una squadra di calcio ci fosse la firma, prima ancora di calciatori e staff tecnico, di un uomo seduto dietro la scrivania. Mai nessun uomo mercato, in proporzione, aveva inciso così tanto nella storia delle vittorie di un club.
Una vita nel Siviglia per Monchi: tutta la carriera da portiere (1988-2000), chiusa alla giovanissima età di 32 anni, tutta la carriera da dirigente, avviata dall’anno del ritiro al 30 marzo 2017, quando il sodalizio rojiblanco ha annunciato il divorzio, dando appuntamento alla conferenza dell’indomani per i dettagli. Un incontro con la stampa al quale hanno voluto partecipare tutti i giocatori, di qui il posticipo dalle 12.30 alle 13.15. Una despedida fatta di parole sentite e accorate, non poteva essere altrimenti dopo 29 anni di idillio. “Per me si interrompe la tappa come direttore sportivo, ma inizia quella di socio numero 8554. A me non batte il cuore, ma lo scudo del Siviglia”, questa la chiosa della lettera d’addio dell’uomo mercato, che – per l’insopprimibile esigenza di trovare una nuova sfida – dalla prossima stagione prenderà il timone della Roma. Quella Roma che “è vero, ho incontrato perché è la società che si è mostrata più interessata a me. Ma non ho firmato nulla e mi scuso davvero con il presidente per non averglielo comunicato”. Nero su bianco o meno, non ci sono dubbi: sarà il 48enne spagnolo, nato a San Fernando il 20 settembre del 1968, l’erede di Walter Sabatini dopo il breve interregno di Frederic Massara. Un colpaccio, quello piazzato da James Pallotta, senza nemmeno pagare la clausola rescissoria (“dopo tutto quello che ha fatto per noi, è il minimo”, parole del presidente Castro). Fermo restando che una cosa è lavorare a casa propria, sapendo di “dover” puntare al quarto posto – terzo al massimo – nella Liga. Un’altra arrivare in una realtà come la Serie A, con l’esigenza malcelata di vincere malgrado la sussistenza di una squadra (la Juventus) che domina da quasi 6 anni, senza i propri collaboratori “non porterò nessuno con me (i suoi famosi 16 scout, ndr), perché continuo a pensare da sevillista, tale sono nato e tale morirò”, e, soprattutto, con l’ingombrante etichetta di Re Mida del calciomercato.
Un appellativo che Monchi ha pienamente meritato, dall’alto dei 300 milioni circa di plusvalenze realizzate. Ha preso una formazione in Secunda Liga (stagione 2000-01) e l’ha portata a consolidarsi tra i viceré di Spagna – dietro le coronate Real e Barça – e del Vecchio Continente tutto, con il record assoluto di vittorie in Europa League, in un così breve lasso di tempo poi. Due con Juande Ramos, tre con Unai Emery. La forza di Ramón Rodríguez Verdejo è sempre stata una, sintetizzabile – passateci la figura retorica – nella capacità di friggere il pesce con l’acqua. Scopriva talenti in giro per il mondo, li assemblava, rivendeva i migliori a peso d’oro e ripartiva subito, alimentando dall’incipit la catena. Pensate a Dani Alves, preso per 500mila euro dal Bahia e rivenduto a 36 milioni al Barcellona. Oppure a Carlos Bacca: 7 milioni nelle casse del Bruges, 30 ricevuti dal Milan. Bacca via? Nessun problema, valorizziamo al massimo Gameiro che abbiamo già in casa: arrivato per 10 milioni dal Psg, rivenduto a 32 più bonus all’Atletico Madrid. E così via. Oltre a coloro che abbiamo già menzionato, ci vengono in mente tanti protagonisti passati sotto la sua gestione: Kanoute, Luis Fabiano, Sergio Ramos, l’indimenticabile capitano Antonio Puerta, Baptista, Reyes, Palop, Adriano, Renato, Medel, Kondogbia, Jesus Navas, Negredo, Seydou Keita, Alberto Moreno, Diego Lopez, Rakitic, Perotti, Fazio, Krychowiak, Aleix Vidal. Senza considerare i componenti dell’attuale organico, compresi N’Zonzi e Vitolo, che agli ordini di Jorge Sampaoli veleggia al 3° posto della Liga. “Li ricordo tutti i miei acquisti, dal primo all’ultimo, da Notario a Walter Montoya”. I tifosi giallorossi lo aspettano con ansia, altri a Roma forse un po’ meno, ben sapendo che Monchi, il top diesse, è un lavoratore forsennato ma sostanzialmente schivo, difficile da coinvolgere in polemiche sterili e controproducenti.
Foto: Twitter Siviglia-Twitter Futbol de Andalucia