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DIEGO, IL PUPILLO DI SIMEONE

02.04.2014 | 11:00

Stadio Camp Nou, minuto 30 di Barcellona-Atletico Madrid: Diego Costa alza bandiera bianca, un brivido corre lungo la schiena del popolo Colchonero, trovatosi orfano del proprio alfiere nel primo difficilissimo atto dei quarti di Champions. Il bomber si era fermato nella rifinitura di lunedì, ma aveva stretto i denti pur di non mancare l’atteso appuntamento. Diego Simeone l’ha rischiato, sbagliando con il senno di poi, ma al cospetto della difficoltà non ha fatto una grinza. Uno sguardo veloce al suo pupillo, l’altro suo omonimo il cui nome completo fa Ribas da Cunha “Vai, tocca a te, non hai tempo per scaldarti”.

E Diego trova il modo di ripagare nel modo migliore il suo mentore, che a gennaio era finalmente riuscito a riaverlo a disposizione dopo la parentesi del 2011-12. Il destro secco, spentosi sotto l’incrocio, con cui ha fulminato Pinto all’11 della ripresa ha fatto il giro del mondo in men che non si dica: un concentrato di potenza, precisione e rapidità di esecuzione, conclusione perfetta e sfera raccolta in fondo al sacco dal 38enne portiere blaugrana catapultato tra i pali dal grave infortunio occorso a Victor Valdés. Un quarto d’ora dopo è arrivato il pareggio di Neymar a chiudere il quadro di un match che, paradossalmente, poco ha avuto di spagnolo nella sostanza considerando la nazionalità dei summenzionati protagonisti. Ma la prodezza del fantasista carioca può incidere come un macigno sulla gara di ritorno, considerato il peso specifico dei gol in trasferta nelle sfide continentali da 180 minuti.

Meritatissima copertina dunque per il talento nato a Ribeirão Preto, nello Stato di San Paolo, il 28 febbraio 1985. Ripercorrendo in sintesi la sua carriera, dopo i primi passi mossi tra le file di Comercial e Paulistinha, fino al 2004 Diego conosce soltanto il bianco e il nero, i colori del Santos, la squadra resa mitica da Pelé nella quale si forma a partire dall’età di 12 anni, completando la trafila delle giovanili fino al debutto in prima squadra nel 2002, stagione conclusasi con la vittoria del Brasileirão (bissata nel 2004) che lo vede già protagonista. Il 30 aprile del 2003 arriva la prima convocazione con la maglia della Seleçao, avventura conclusasi (per lo meno sin qui) nel 2008 con 33 presenze, 4 reti e due edizioni della Coppa America in bacheca.

Nel luglio 2004 il Porto lo preleva versando 7 milioni nelle casse sociali del club paulista, ma all’ombra dello stadio do Dragao il giocatore non riesce a lasciare il segno, contribuendo marginalmente alla conquista della Coppa Intercontinentale (post Mourinho), di un campionato e di una Supercoppa nazionale.

Nella primavera del 2006 è tempo di levare le tende, il trequartista vola in Bundesliga per rispondere alla chiamata del Werder Brema, che scuce 6,3 milioni di Euro e gli fa sottoscrivere un quadriennale. E in terra teutonica la promessa verdeoro trova la sua dimensione ideale, incantando le platee a suon di assist, dribbling, giocate di alta scuola e gol. Tanti gol, 54 in 132 partite disputate nelle varie competizioni, con una Coppa di Germania all’attivo.

Quando viene ufficializzato il suo passaggio alla Juventus per 24,5 milioni di euro, fiore all’occhiello della campagna acquisti 2009 – unitamente al connazionale Felipe Melo – condotta da Secco e Blanc, i supporters di fede bianconera si fregano le mani, avendo ancora negli occhi le immagini dei numeri esibiti alle latitudini del Weserstadion. E invece l’esperienza a Torino, malgrado i 5 anni di contratto e l’ottimo avvio con doppietta da urlo all’Olimpico contro la Roma, si rivela un flop totale, come tutta l’annata sabauda del resto (gestione tecnica FerraraZaccheroni). Dodici mesi più tardi il neo tecnico Gigi Delneri dà il placet alla cessione: nel suo 4-4-2 per il fumoso Diego Ribas da Cunha proprio non c’è posto, anche se i risultati non cambieranno al punto che verrà centrato il secondo settimo posto consecutivo.

A quel punto entra in scena il neo arrivato Beppe Marotta, che perfeziona l’accordo con il Wolfsburg sulla base di 15,5 milioni: enorme minusvalenza ma il bagno di lacrime avrebbe anche potuto essere maggiore. Fortuna che il ragazzo aveva ancora estimatori in Bundesliga, questo fu il pensiero dominante all’epoca. Il ds Klaus Allofs gli fa apporre la firma in calce ad un contratto quadriennale, ma anche nella città della Volkswagen le cose non girano per il verso giusto. In primavera il calciatore rompe con il sergente di ferro Felix Magath, che lo mette fuori rosa annunciandone di fatto la partenza: “finché sarò io l’allenatore, Diego non scenderà più in campo con la maglia del Wolsfburg”.

La questione si risolve sul filo di lana: il 31 agosto del 2011, ultimo giorno della sessione estiva, si concretizza il trasferimento in prestito all’Atletico Madrid, su espressa richiesta de El Cholo, che gli affida le chiavi degli ultimi 30 metri collocandolo tra le due linee. Lo straordinario feeling tra i due porta in dote un’Europa League e un doloroso arrivederci, poiché le due società non riescono a raggiungere l’intesa per il trasferimento a titolo definitivo.

Accettato il ritorno alla base, Magath era ormai lontano, il numero 10 riesce a ritrovare una buona continuità, come testimoniato dalle 18 reti e 11 assist collezionati in 16 mesi con la casacca biancoverde dei Lupi. Lo scorso gennaio, dopo un lungo vociferare sul ritorno al Santos (forse soltanto rimandato a fine stagione), si creano finalmente le condizioni affinché il management capeggiato dal presidente Cerezo possa esaudire la richiesta del proprio condottiero, riportando Diego alla corte di Simeone. Sia pur a titolo temporaneo fino al prossimo 30 giugno, dal giorno successivo il ventinovenne sarà libero anche dal contratto con il club tedesco, e quindi di scegliere in assoluta libertà la prossima destinazione. E magari l’allenatore argentino starà già lavorando ai fianchi del suo pallino per convincerlo a prolungare il soggiorno al Vicente Calderon, sempre ammesso che il futuro del tecnico non preveda da subito una tappa ancor più prestigiosa. Frattanto, c’è un finale di stagione da vivere tutto d’un fiato ma con l’entusiasmo alle stelle.