DIMETTIAMOCI
25.06.2014 | 13:50
Dimettiamoci. Perché la prima cosa che hanno fatto loro, dopo l’ennesimo scempio azzurro, è stata quello di tagliare la corda. Abete ha garantito che lo avrebbe fatto a prescindere, ma non ce lo aveva comunicato. Se l’Italia avesse fatto l’impresa, sarebbe rimasto lì, fino a prova contraria. Ma adesso era troppo importante annunciarlo al Paese perché qualcuno avrebbe parlato di nobile gesto. Infatti. Oggi nessuno si dimette, a meno che il mandato non stia per scadere, a meno che non serva per attutire uno tsunami mediatico pronto a scatenarsi da lì a breve. Abete non si è dimesso dopo il fallimento della tessera del tifoso, dopo il naufragio dei tornelli e della legge sugli stadi, dopo gli scandali di Calciopoli. Non lo ha fatto quando avrebbe dovuto e potuto. Adesso lo fa perché qualcuno, prima o poi, gli avrebbe presentato il conto. Troppo comodo, troppo facile.
Dimettiamoci. Prandelli ha diverse virtù, ma un difetto enorme: lo scarso peso specifico e le contraddizioni striscianti nelle decisioni che prende. I suoi amici, quelli che dicono di fare comunicazione ma che sono tappeti rossi stesi a prescindere, non lo criticherebbero neanche sotto tortura. Infatti, sono gli stessi che sono andati di tweet – cinque minuti dopo la fine di Italia-Uruguay – soltanto per dire che l’assassino era stato l’arbitro. E non per smascherare Prandelli in tutti i suoi limiti e le sue incoerenze, appunto: meglio fare i saltimbanchi su una spiaggia di Copacabana, perdendo l’ultimo briciolo di dignità. Sono i furbetti del quartiere, roba da dna, mai ci hanno spiegato la boiata del codice etico. Che più o meno equivale alla storia della tessera del tifoso. Decisioni malate di gente che non sa come affrontare il problema. E che cerca di rinviarlo aggrappandosi a goffe scorciatoie.
Dimettiamoci. Perché non riusciamo a vedere tre partite di fila giocate come si deve. Gli altri corrono, noi camminiamo. Gli altri sputano sangue, noi ci fermiamo ai box. Gli altri tirano in porta, noi quasi mai. Gli altri si divertono a schierare attaccanti, noi li lasciamo a casa o in panchina. Incredibile quanto avvenuto contro l’Uruguay: giochiamo con due punte dall’inizio perché dobbiamo dare fastidio e tenerli impegnati in difesa. All’inizio del secondo tempo ce la facciamo sotto, togliamo un attaccante e anziché pescare nel mazzo di trequartisti e seconde punte ci ripresentiamo con un centrocampista (Parolo) dando così un messaggio di enorme debolezza. Ma va bene lo stesso, tanto se non tiri in porta per due partite di fila forse avresti potuto giocare con quattro o cinque punte (come in quel frullato di disperazione contro la Costa Rica) e sarebbe stata la stessa cosa. Poveri noi.
Dimettiamoci. Perché quel povero figlio di Criscito può essere preso a calci due volte (prima degli Europei e alla vigilia dei Mondiali), tanto nessuno se ne accorge. E poi, invece, è giusto spiegare che “avevo deciso di non inserire Pepito Rossi tra i 23 esattamente quando lo avevo convocato tra i 30”. Che senso ha, perché Prandelli non lo ha detto proprio quando aveva già maturato quella scelta?
Dimettiamoci. Caro Abete, se lo avesse fatto il giorno dopo Napoli-Fiorentina e i fattacci che sono costati la vita a Ciro, avrebbe dato un senso a quello che oggi – direbbe Vasco – ormai più un senso non ce l’ha. Dicono: ma la Figc non ha responsabilità su una tragedia avvenuta a due chilometri dallo stadio. Obiezione: ma cosa è stato fatto per prevenire e anticipare? La tessera del tifoso, vero…
Dimettiamoci. Caro Prandelli, rinnovare il contratto due mesi fa quando tutto il mondo sapeva che non c’erano troppe voglie e convinzioni per poi decidere il dietrofront a seguito di “un fallimento tecnico” è la classifica storia all’italiana. Sembravano due bambini Abete e Prandelli. Abete: “Le mie dimissioni sono irrevocabili, ma spero che Il ct cambi idea”. Che poi non si capisce il senso del discorso: un allenatore lo trovi sempre, con tutto il rispetto, quello che di disastroso hai seminato a livello di palazzo non lo aggiusti in cinque minuti. E Prandelli di rimando: “Anche le mie sono irrevocabili”. Come due bambini: “è mio, no è mio, ti ho detto che è mio…” Mentre noi stavamo a interrogarci sull’ennesimo flop figlio di avventurieri padroni del calcio italiano, improvvisatori puri in nome (purtroppo) del popolo italiano. Metteranno in bacheca la tessera del tifoso e il codice etico, questo gli resta e questo si terranno. E poi dobbiamo sentire i tromboni scandalizzati perché Verratti va al Psg e Immobile al Borussia Dortmund. Andate pure, ragazzi di assoluta dote, qui siamo sotto l’anno zero. In cambio arriveranno talenti stranieri strapagati. Molto bene.
Dimettiamoci. E torniamo (forse) quando ci avranno restituito il nostro giocattolo preferito. Dopo averlo messo sotto i piedi e mandato in frantumi.
Dimettiamoci. Nessuno potrà dirci “rispetta il contratto”, quando il rispetto neanche sanno cosa sia. Noi non abbiamo un contratto. E anche se lo avessimo, sarebbe meglio rescinderlo in fretta. Per firmarne uno nuovo, all’alba di un altro (eventuale, auspicato) calcio italiano. Oggi è buio. E la nottata non passa…