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DRIES MERTENS, DAI BASSIFONDI DI PROVINCIA FINO ALL’ÉLITE DEL CALCIO, SENZA MAI SMETTERE DI STUPIRE

07.12.2016 | 09:30

 

Tra il 2006 e il 2009, ad Apeldoorn, piccola cittadina situata nel cuore dei Paesi Bassi, c’era un ragazzino belga che faceva letteralmente impazzire i tifosi della squadra locale dell’Alleen Gezamenlijk Oefenen Voert Verder Apeldoorn, meglio nota con la sigla Agovv. Un metro e sessantanove centimetri di altezza, tecnica da vendere e fantasia da far invidia ai migliori sceneggiatori di film fantascienza di Hollywood. Sono tanti gli scout che vanno ad osservare da vicino quel piccoletto che milita nella seconda divisione olandese, alla sua prima esperienza tra i professionisti, di cui si parla un gran bene. Tra i tanti osservatori c’è anche Nijmegen Henk Grim, capo scout del Nec che, dopo aver visto il giocatore all’opera, lo cancella immediatamente dal proprio taccuino e lo etichetta come “nano da giardino”. E Grim non era l’unico a pensarla così: prima di lui, l’Anderlecht e il Gent avevano scartato lo stesso giovane dai rispettivi vivai, ritenendolo troppo basso, troppo gracile, troppo esile, nonostante fosse imprendibile quando aveva la palla tra i piedi. Un calciatore con quel fisico lì, in Jupiler League o in Eredivisie non avrebbe mai sfondato. O forse sì. Oggi potremmo dire che quel ragazzino è stato più forte di tutti i pregiudizi, ha lottato contro i luoghi comuni del mondo del calcio, costruendosi da solo con le proprie mani (e piedi) la sua carriera. Quel ragazzino, come forse avrete già capito, era Dries Mertens.

Nato il 6 maggio 1987 a Leuven, cittadina di 100mila abitanti nel centro delle Fiandre, figlio di un grande ginnasta di successo, Mertens sceglie però il calcio come sport alla quale dedicare le ore libere dopo la scuola. I primi calci al pallone li dà nell’Oud-Heverlee Leuven, piccola società del suo paese natale, dove resterà fino al 1998, quando viene ingaggiato dalle giovanili dell’Anderlecht. Cinque anni dopo, giunto il momento per la società belga di scegliere su quali giovani puntare, Dries viene messo alla porta: troppo basso, troppo gracile, troppo esile. Ecco allora che arriva l’opportunità del Gent, che però, dopo soli due anni, opta per la stessa scelta del club precedente e lo scarta per via del suo fisico. Troppo basso, troppo gracile, troppo esile. Dries fu così costretto a fare le valigie e emigrare in Olanda, dove trova in John van den Brom il suo mentore nell’Agovv Apeldoorn, squadra della serie B olandese. Per Mertens, alla prima esperienza da professionista, saranno tre stagioni segnate da una crescita continua ed esponenziale: prestazioni eccellenti, 30 gol in 108 partite, assist a raffica e premio come miglior calciatore del campionato nel 2009. E proprio in quell’anno viene (finalmente) notato da un club di Eredivisie: l’Utrecht. Con la società dell’omonima città, in due stagioni Dries colleziona 69 presenze, impreziosite da 17 gol e 27 assist. Numeri impressionati che si ripetono anche con il trasferimento al Psv Eindhoven, nel giugno 2011: in due stagioni conta 62 partite, 37 reti e 33 assist. Dai bassifondi di provincia fino all’élite del calcio olandese, per una carriera che non ha mai bruciato le tappe. Nell’estate 2014, il Napoli lo soffia alla folta concorrenza e lo acquista a titolo definitivo per una cifra di poco superiore ai 9 milioni di euro. Alle pendici del Vesuvio, Mertens mostra subito di che pasta è fatto. La prima stagione si chiude con 13 gol e 12 assist, giocando però tanti spezzoni di partite. Numeri importanti, ripetuti quasi alla perfezione nelle due stagioni successive (21 gol e 19 assist), che lo hanno reso il miglior dodicesimo uomo dell’intera Serie A. Per Mertens, infatti, non è facile strappare una maglia da titolare al Napoli, dovendo sgomitare con i vari colleghi di reparto come Callejon e Insigne. Ma il minutaggio concessogli da Benitez prima e da Sarri poi, basta e avanza al talento belga per riscuotere consensi e applausi tra la tifoseria partenopea. Il resto è storia recente. Nella stagione attuale, Mertens parte a razzo. In campionato ha già toccato quota 3 gol e 3 assist in 13 presenze (spesso da subentrato). Cifre replicate anche in Champions League, ma con sole quattro presenze a referto, che lo rendono il vero uomo di Coppa della squadra di Sarri. L’ultima perla, in ordine cronologico, quella messa a segno all’Estadio da Luz di Lisbona, nel successo per 2-1 contro il Benfica che vale il primo posto nel girone B, con annessa qualificazione agli ottavi di finale del torneo europeo. Subentrato in campo al 60′, diciannove minuti più tardi Mertens si stava già impossessando dello scettro di man of the match: controllo veloce al limite dell’area, finta a sinistra, poi a destra, difesa avversaria spedita al bar e palla in buca d’angolo imparabile per qualsiasi portiere. Una giocata alla Mertens, tutta tecnica e classe cristallina, qualità che Dries ha imparato a tirar fuori giorno dopo giorno nella sua lunga e complicata carriera, fatta di pregiudizi ed etichette. Dalle stalle alle stelle, il passo a volte è breve. Adesso Mertens è diventato l’uomo simbolo del Napoli, giocatore amato da tutta la città e dai tifosi, che lo hanno ribattezzato “Lo scugnizzo belga”. Non solo per il fisico, la fantasia e la vivacità, ma soprattutto per il grande attaccamento alla maglia, virtù che non sempre trova terreno fertile nell’attuale mondo del calcio. Dai bassifondi di provincia, fino all’olimpo dei campioni, senza mai fermarsi, senza mai smettere di stupire. Sognando di scrivere la storia con la maglia del Napoli.

Foto: Twitter Champions League