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L’effetto Conte: da Bonucci e Giak a Victor Moses

02.03.2017 | 00:12

Nella carriera di ogni calciatore gli allenatori sono fondamentali. Sì, perché madre natura può anche munirti delle qualità necessarie per sfondare, ma poi per arrivare ad alti livelli serve chi riesca ad affinarle, correggendo gli eventuali gap tattici e caratteriali. Pensando all’identikit di un tecnico in grado di tirar fuori il meglio da ognuno dei suoi uomini, il primo a venirci in mente non può che essere Antonio Conte. Inutile soffermarci sui risultati raccolti in panchina dall’attuale stratega del Chelsea, sono gli occhi di tutti. Il punto è un altro: avete mai sentito negli ultimi sei anni un calciatore parlarne non in termini entusiastici? Il suo essere un martello, in allenamento e a bordo campo durante ogni singola partita, si coniuga con la capacità di motivare al massimo i giocatori, non di rado rivisitando la loro posizione sul rettangolo di gioco. Il primo a beneficiare dell’effetto Conte fu senz’altro Leonardo Bonucci. Veniva da un’annata shock, la sua prima in bianconero con Delneri al timone, don Antonio gli ritagliò il ruolo di regista nella difesa a tre sia per sfruttarne la capacità di impostare l’azione che per sgravarlo un minimo in sede di marcatura. Dal 2011 a oggi la crescita di Bonnie è stata costante ed esponenziale, a tre o a quattro ormai non fa differenza: ne parliamo a ragione come di uno dei migliori centrali del mondo. In quella Juve, a trarre giovamento dalle sue intuizioni furono anche Kwadwo Asamoah ed Emanuele Giaccherini. Il primo veniva dagli anni di Udine, dove giocava da mezzala (ruolo naturale) mentre con il Ghana si disimpegnava addirittura da trequartista, Conte lo reinventò esterno sinistro di un centrocampo a cinque e adesso anche Allegri lo ha riportato sulla fascia, buona alternativa ad Alex Sandro. Giak a Cesena faceva l’ala da 4-4-2 o l’attaccante esterno nel 4-3-3, l’allenatore salentino lo adattò come interno di centrocampo, zittendo i tanti detrattori di un prospetto cresciuto in provincia che, ove avesse avuto passaporto straniero, avrebbe verosimilmente goduto di maggior considerazione. E che dire di Pellè? Costantemente ignorato dai precedenti ct, sebbene avesse fatto bene tra Olanda e Inghilterra, il 31enne centravanti deve a Conte, che lo ha voluto in Nazionale puntandoci forte all’Europeo, il mega contratto da 16 milioni a stagione fattogli sottoscrivere dallo Shandong Luneng: senza quelle due girate contro Belgio e Spagna, a corredo di ottime prestazioni, difficilmente Graziano oggi nuoterebbe nell’oro. E i cinesi, evidentemente, non si fecero influenzare dal rigoraccio contro la Germania. Anche il Chelsea, naturalmente, ha i suoi folgorati sulla via di Conte. Basta un dato: il condottiero italiano sta vincendo la Premier League, al primo tentativo, con un organico che per la stragrande maggioranza è lo stesso che l’anno scorso fece dannare Mourinho, costretto a dare l’addio a metà stagione con la squadra in zona retrocessione. Da quando è passato al sua cara difesa a tre, l’ex commissario tecnico dell’Italia non si è fermato più. E, al di là del rivitalizzato David Luiz, l’elemento chiave del nuovo sistema di gioco dei Blues si è rivelato Victor Moses, passato nel volgere di pochi mesi dalla condizione di esubero, da mandare costantemente in prestito (Liverpool, Stoke, West Ham) in attesa della scadenza del contratto, a perno insostituibile del canovaccio. Il ventiseienne nigeriano aveva sempre ricoperto il ruolo di esterno d’attacco, ideale per un 4-3-3 o un 4-2-3-1: il 47enne timoniere pugliese lo ha trasformato in una sorta di…Lichtsteiner. Titolare fisso nel 3-4-3, licenza di offendere limitata dalle inevitabili mansioni difensive richieste a chi deve coprire tutto l’out di destra. E nelle scorse ore Moses, l’ultimo beneficiario dell’effetto Conte, ha potuto brindare al rinnovo fino al 2021. Il giusto riconoscimento, accordatogli da Abramovich, a suggello di una vera e propria rinascita.

Fonte: itsroundanditswhite.co.uk