Il protagonista odierno della nostra rubrica non ha certo bisogno di presentazioni. Pedigree da campionissimo, da due anni a questa parte é tra i personaggi più discussi dell'intero panorama calcistico mondiale, ma ieri sera con una doppietta di pregevole fattura ha trascinato il Chelsea al successo nell'andata dei quarti di finale di Europa League contro il Rubin Kazan. Gli indizi sono chiarissimi e portano tutti a Fernando Torres, di professione delantero, nato il 20 marzo del 1984 a Fuenlabrada, alle porte di Madrid. El Niño muove i primissimi passi nel Rayo, ma all'età di 11 anni supera brillantemente un provino con l'Atletico Madrid ed entra a far parte del club per il quale ha sempre fatto il tifo. Dal 1995 al 2000 compie tutta la trafila delle giovanili con la casacca dei colchoneros e nel maggio del 2001, all’epoca della Segunda Division, dopo aver recuperato da un grave infortunio che ne aveva condizionato gran parte dell'annata, debutta in prima squadra contro il Leganés, diventando -con i suoi 17 anni- il più giovane giocatore della ultracentenaria storia dei rojiblancos. Sette giorni dopo, contro l'Albacete, assapora la prima gioia del gol con la maglia dell’Atletico. Il purgatorio tra i cadetti termina alla fine della stagione successiva, nella quale Fernando contribuisce al ritorno nella massima serie chiudendo con 6 gol all’attivo. Nei cinque anni seguenti, con la fascia di capitano al braccio sin dall’età di 19 anni, Torres si consacra definitivamente all’ombra del “Vicente Calderon”, realizzando nella Liga 75 reti in 174 partite. Il bomber con la faccia da bambino però vuole iniziare a vincere qualcosa, conscio che in Spagna il duopolio Real-Barça vedeva già il Valencia nei panni di terzo incomodo, e nel luglio del 2007 lascia quella che è stata la sua famiglia per dodici stagioni per trasferirsi al Liverpool, che lo preleva versando nelle casse della società del Manzanarre 20 milioni di sterline oltre al cartellino di Luis Garcia. Fernando conferma da subito l’innato fiuto del gol anche in Premier League e diventa subito un beniamino della Kop, realizzando nel complesso 33 reti, di cui 24 in campionato e 6 al primo approccio con la Champions League. Nelle due annate successive va a segno altre 39 volte con la maglia dei Reds, con la quale inizia anche la stagione 2010-11, timbrando il cartellino in 9 occasioni nel girone d’andata. Finché, nel gennaio del 2011, non arriva la chiamata del Chelsea. Per strappare il fuoriclasse iberico ai rossi del Merseyside, Roman Abramovich investe l’astronomica cifra di 50 milioni di sterline, ignaro del fatto che da quel momento sarebbe iniziata la parabola discendente del giocatore. Nel girone di ritorno, infatti, Torres gonfia la rete soltanto una volta in 14 partite, trasformandosi inaspettatamente da implacabile killer d’area di rigore in oggetto misterioso. La situazione non migliora nell’annata successiva, quella scorsa, considerato che il criticatissimo Niño scende in campo 49 volte raggranellando soltanto 11 reti. Arrivano però le prime vittorie a livello di club, posto che già il Doblete con la Spagna era in cassaforte: rivitalizzato dalla cura Di Matteo, il Chelsea vince la Coppa d’Inghilterra e, soprattutto, la tanto agognata Champions League, mentre a luglio Fernando centra il mitologico Triplete con la casacca delle Furie Rosse, anche se non da protagonista. Il resto è storia di questi mesi, di questi giorni. Complice l’arrivo del suo mentore Rafa Benitez, il centravanti migliora un po’ la sua media realizzativa, raggiungendo con la doppietta di ieri quota 18 in stagione, ma il giudizio globale sulla sua esperienza a Stamford Bridge resta comunque negativo, tant’è che lo spagnolo viene sempre dato al passo d’addio, risultando costantemente al centro dei rumors di mercato, che un giorno lo vogliono cavallo di ritorno all’Atletico Madrid -come parziale contropartita dell’affaire Falcao- e quello successivo girovago per il vecchio continente, accostato alle più disparate società. A meno che, con il colpo d’ala di ieri sera, Fernando Torres non abbia deciso una volta per tutte di indossare i panni dell’Araba Fenice: chi lo conosce bene sa che quei due gol costituiscono un perfetto spaccato del suo repertorio: velocità e arguzia nella rete che ha aperto le danze, esplosività e tempismo nello stacco di testa valso il 3-1. Forse El Niño è tornato, per la gioia dei Blues e di tutti gli appassionati dello sport più bello del mondo.