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Fondi di investimento comproprietari dei cartellini: l’Uefa dice no

08.04.2013 | 14:51

E’ sempre più diffusa e di attualità la presenza nel mondo del calcio di fondi di investimento che acquistano partecipazioni nella proprietà dei cartellini dei calciatori.

La presenza di questi fondi nel mondo del calcio ha posto le sue radici in Sud America negli anni novanta. La pratica si è poi diffusa anche in Europa dal momento che i club, a causa del perdurare della crisi economica, avevano manifestato sempre più la necessità di trovare fonti di finanziamento alternative ai prestiti bancari. Famoso apripista di questa pratica nelle top league europee è stato il giocatore argentino Carlos Tevez, trasferito nel 2005 dal Corinthians al West Ham, sebbene il suo cartellino sia rimasto di proprietà di un fondo di investimento legato all’uomo d’affari  iraniano Kia Joorabchian.

In paesi come Brasile e Portogallo, i fondi di investimento sono parte integrante del sistema calcio. Il diciotto volte campione portoghese Sporting Lisbona, ad esempio, ha venduto a fondi terzi quote di partecipazione di 24 dei suoi 28 giocatori. In Brasile, il 90% dei giocatori di serie A è in qualche modo legato a fondi d’investimento.

Ma come mai questa pratica è così diffusa? E’ semplice: il club vende al fondo una quota del cartellino del proprio giocatore, che continua comunque a giocare nel club, ed in cambio ottiene un profitto immediato ovvero liquidità fresca da poter re-investire o utilizzare per sue attività. Il fondo invece, può trarre profitto nel momento in cui il calciatore, in una fase successiva, viene ceduto ad un altro club.

L’UEFA ed alcune leghe europee, come la Premier League inglese e la Ligue 1 francese, si sono già mosse in opposizione a questo tipo di pratica. La Premier League ha bandito i fondi di investimento dopo il caso Tevez, motivando la scelta con il principio per cui c’è indivisibilità tra il diritto all’utilizzo delle prestazioni sportive di un calciatore ed il diritto di proprietà del suo cartellino. Il calciatore, secondo la lega inglese, deve essere un’ “attività del club” da valorizzare nel medio lungo termine anziché un profitto da ottenere nel breve.

Gianni Infantino, segretario generale UEFA, ha dichiarato che la presenza di fondi privati nella proprietà del cartellino di un calciatore mette a serio rischio l’integrità della competizione sportiva. Cosa succederebbe infatti quando la stessa società o fondo detenesse i diritti economici di più giocatori in diverse squadre della stessa competizione? Sicuramente il rischio di manipolazione dei risultati sarebbe molto alto. L’aggravante è portata dal fatto che molti di questi fondi hanno sede in paesi off-shore, rendendo quindi impossibile scoprire chi c’è dietro di loro e rintracciare i relativi movimenti finanziari.

Che dire poi del Financial Fair Play? Quando un club esternalizza parte della proprietà dei propri calciatori in cambio di liquidità fresca, ottiene naturalmente dei  vantaggi di tipo economico. Andrea Traverso, Head of Club Licensing and Financial Fair Play dell’UEFA, ha dichiarato che la UEFA sta esaminando attentamente in che modo queste pratiche di finanza “alternativa” possano avere effetto sui bilanci delle società e che è comunque necessario identificare delle regole che mitighino un potenziale vantaggio economico nell’utilizzo di questo tipo di pratica.