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Gattuso: “Trofei? Preferisco coerenza e credibilità. Napoli top club, mi ha colpito De La. Volevo lasciare il Milan dopo Istanbul”

15.03.2020 | 00:12

Gennaro Gattuso, allenatore del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Sky: “Voglio scrivere altre pagine importanti in questo nuovo mestiere. Voglio vincere qualcosa di importante, ma di là dei trofei, mi interessa avere uno stile, coerenza, credibilità, farsi seguire dai propri giocatori”.

Gattuso giocatore? “La qualità era prima di tutto quella di non mollare mai, lottare, la coerenza che ti dà la fiducia della squadra e dello spogliatoio. Il lavoro quotidiano, la passione, la voglia di migliorare e col tempo l’ho fatto. Ho dedicato più tempo al calcio che alla mia persona, ho sempre pensato di fare un lavoro bello, un gioco da bambino poi diventato lavoro e non ho lasciato nulla al caso. Non immaginavo di vincere due Champions, il mondiale, nella storia del Milan per presenze, i sogni però si avverano se lavori e non molli mai”.

Bagni idolo? “Sì, il primo poster che ho attaccato è stato il suo. era uno dei pochi che giocava con i calzettoni abbassati, mi colpì, fu uno dei primi schiaffi di mia mamma perchè gli rovinai il muro con l’attak”.

Gattuso allenatore? “La carriera che ho fatto mi ha aiuto nelle dinamiche giornaliere, ma è totalmente diverso come lavoro. Serve grande conoscenza, non basta aver giocato a calcio perché il calcio è cambiato tanto, così come la metodologia. La grinta resta, è una mia caratteristica, ma è una grinta diverse, bisogna essere più riflessivi e conoscere i giocatori caratterialmente. All’inizio pensavo ai giocatori tutti uguali, ho sbagliato per qualche anno, non è corretto perché ognuno è diverso ed ha una chiave diversa. Il calcio è cambiato tantissimo negli ultimi anni. 10 anni fa vedevamo 30 minuti di spezzoni, non c’era match analysis, oggi ci sono telecamere fisse, c’è un grande fratello, si analizzano anche gli allenamenti e non solo gli avversari. Abbiamo tanti strumenti in più per valutare la forma, è cambiato molto. Ci sono molte più informazioni, negli staff ci sono 15 persone. Oggi ci sono rose di 25 giocatori, lo staff ed altri 15 fisioterapisti ed altri da gestire, hai la comunicazione che lavora con te con altre persone. L’allenatore deve dare una linea guida a 70-80 persone, non è facile e la bravura è nel farsi capire subito. La squadra non è solo quella che scende in campo, ma tutti quelli che stanno a contatto con la squadra.

Su Ancelotti: “Carlo è sempre stato un punto di riferimento, sia quando ero giocatore che da allenatore. C’è grande rispetto. E’ successo un qualcosa di strano (col riferimento alla sostituzione, ndr), ma c’è rispetto, mi ha lasciato una grande squadra, tuttora ci sentiamo. Nel calcio paga l’allenatore quando i risultati non arrivano, ma l’amicizia non è cambiata assolutamente. Seguirlo? Non si può seguire, si fanno solo danni se si vuole imitare uno come lui. Per come gestisce gli spogliatoi, per come ha gestito noi, me, come continua ancora a farlo, lui ha dentro questa dote, essere credibile ed entrare nella testa dei giocatori da 20 anni. Eravamo padre-figlio ad un certo punto, non giocatore-allenatore e se ho fatto quello che ho fatto tanti meriti sono suoi”.

Sulla chiamata del Napoli: “Sapevo che venivo in un grande club, che negli ultimi 7-8 anni è diventato uno dei primi al mondo, mi ha colpito la chiamata di ADL. Non me l’aspettavo, sapevo il valore di Carlo, è stato un orgoglio e sono contento pur sapendo delle difficoltà. Allenare questi giocatori e lavorare in una città così mi dà carica e soddisfazione. Quando andrò via voglio essere ricordato per la serietà, la voglia, per aver fatto cose importanti, poi i giocatori devono essere gli idoli perché loro vanno in campo”.

Sulla finale di Istanbul persa quando giocava con la maglia del Milan: “Abbiamo preso tre gol in sei minuti, non c’è nessuna spiegazione. Sono state dette tante chiacchiere, eravamo troppo evoluti per festeggiare negli spogliatoi. E’ successo, credo nel dio del calcio. Ci sono stati degli errori a livello individuale, bravi loro a crederci. Gli inglesi non muoiono mai. Nello spogliatoio abbiamo detto che non avrebbero mollato e poi ci abbiamo sbattuto i denti. Dopo 15 giorni andrai in sede, non avevo la forza di rimanere dopo quella delusione. È stato bravo a convincermi, mi ha chiuso nella sala trofei, bussavo e nessuno mi apriva. L’ho vissuta male, avevo una ferita aperta, nel calcio ti puoi rifare e ci siamo presi la rivincita col Liverpool e col Boca. Questo è stato merito del Milan, in quel momento non riuscivo a digerire”.

Foto: Napoli Twitter