STEVEN GERRARD, IL MONUMENTO DI ANFIELD

"In seguito alle recenti speculazioni dei media, posso confermare il mio ritiro dal calcio giocato. Sono grato per ogni momento passato tra Liverpool, Inghilterra e Los Angeles Galaxy, sempre circondato dall’affetto di tifosi impareggiabili. Sono orgoglioso di aver giocato oltre 700 gare con il Liverpool, molte delle quali da capitano. Ho aiutato la squadra a portare importanti trofei ad Anfield. La notte di Istanbul il momento più bello, sicuramente. Ho collezionato oltre 100 presenze in Nazionale, avendo l’onore di essere il capitano del mio Paese. Guarderò sempre con grande orgoglio al mio passato. Ringrazio mia madre, mio padre e mio fratello Paul per il loro sostegno incondizionato nel corso degli anni. Così come ringrazio mia moglie Alex e le mie figlie Lily, Lexie e Lourdes, per il costante amore e il supporto che mi hanno dimostrato. Tutti voi siete sempre stati lì, nella buona e nella cattiva sorte, senza di voi nulla sarebbe stato possibile. Grazie di tutto”. Questo l’estratto saliente del comunicato mediante il quale, via Instagram, Steven Gerrard ha annunciato il ritiro nella giornata di ieri, una giorno triste per tutti gli appassionati di calcio, senza distinzione di colori, sociali e non. L’ultima gara ufficiale di SG8 resterà dunque quella contro i Colorado Rapids dello scorso 6 novembre, match conclusosi con la sconfitta ai rigori che ha estromesso i Galaxy dai playoff di Major League Soccer. Il 15 novembre il club californiano aveva ufficializzato la fine dell’esperienza di Steve a Los Angeles, da archiviare con i 5 gol e 15 assist messi a referto nelle 39 partite disputate nei 18 mesi scarsi di permanenza in America. Dopodiché il no al Milton Keynes Dons, club di League One (la terza serie britannica), giustificato dalla… precocità della soluzione propostagli. Steve con ogni probabilità farà l’allenatore già nel futuro prossimo, ma comprensibilmente non se l’è sentita di assumere, salendo sul treno in corsa, la guida di una prima squadra con l’odore dell’erba ancora nelle narici.



Questo il riepilogo novembrino, il resto è storia da tramandare ai posteri. Leggenda più che altro, a fortissime tinte red, il rosso del suo Liverpool: 710 presenze e 186 reti, media-gol strepitosa per un fenomeno che di mestiere ha fatto il centrocampista, sia pur universale. Steven, infatti, ha ricoperto tutti i ruoli della zona nevralgica del campo. Ha giocato da centrale, mezzala, esterno altro, avanzato alle spalle delle punte, a voler tacere degli esordi sulla fascia destra della retroguardia. Il tutto sempre con profitto, facendo la differenza dentro e fuori dal campo, da capitano vero del club dal maggior fascino tra i sudditi di Sua Maestà. L’intelligenza tattica dei grandissimi, maestro in entrambe le fasi, qualità e quantità coniugate in maniera esemplare con quel vizietto del gol ad impreziosire ulteriormente un quadro che ha sempre saputo di capolavoro. Naturale propensione agli inserimenti in zona gol, eccellenza nel gioco aereo e staffilata dalla distanza sempre in canna: armava il destro e la Kop impazziva, tra una sciarpata e un You'll Never Walk Alone. Nato a Whiston, alle porte della città dei Beatles, il 30 maggio del 1980, il piccolo Steven George all’età di 7 anni viene notato dagli scout dei Reds e cooptato nel settore giovanile, dove completa tutta la trafila dell’Academy fino all’esordio in prima squadra, datato 29 novembre 1998 contro il Blackburn, quando Evans e Houllier lo fanno subentrare nel finale al norvegese Heggem. Nella sua bacheca si contano 2 Coppe d’Inghilterra, 3 Coppe di Lega, 2 Community Shield, 1 Coppa Uefa, 2 Supercoppe europee e la celeberrima Champions League del 2005, conquistata in quel di Istanbul, agli ordini di Rafa Benitez, contro il Milan, che subì la memorabile rimonta dallo 0-3 (fu proprio Gerrard ad avviarla con una precisa incornata), per poi perdere ai calci di rigore. “Come potrei pensare di lasciare Liverpool dopo una notte come questa?”, chiese alla stampa il monumentale numero 8 nei minuti successivi al trionfo, per spegnere le voci di mercato che da tempo impazzavano sul suo conto. Il Liverpool lo lasciò soltanto 12 anni dopo, salutando il 16 maggio del 2015 un intero popolo col groppo in gola. L’unico rimpianto di Gerrard, pluricentenario nazionale inglese (114 presenze con 21 reti con la rappresentativa dei Tre Leoni), è indubbiamente rappresentato dal non essere riuscito a riportare ad Anfield Road quel titolo che ormai manca da 26 anni. E il rimpianto è ancora maggiore considerando che nel 2014, mai come in quella occasione la vittoria della Premier League fu vicina, fu proprio un suo goffo scivolone, alla terzultima giornata con i Reds primi in classifica, ad aprire la strada verso la porta a Demba Ba. Quella sconfitta interna contro il Chelsea di Mourinho, peraltro in formazione iper rimaneggiata, costò il titolo al Liverpool e il sogno di una vita a Steve. Sarebbe stato il degno coronamento di un'epopea, oltre che un premio alla fedeltà di una delle ultime grandi bandiere del nostro calcio, che anche all’apice della carriera antepose le ragioni di cuore - e il senso di appartenenza - alle ambizioni personali. L’avventura negli Stati Uniti fanno testo davvero relativamente, SG8 resterà sempre il Liverpool del nuovo millennio.

Foto: Instagram Steven Gerrard