Giampaolo: “Dorgu ha personalità, non può che migliorare. Il termine ‘maestro’? Non mi ci sono mai riconosciuto”
09.01.2025 | 14:15
Il tecnico Marco Giampaolo ha rilasciato un’intervista a Radio Serie A in cui ha parlato del suo momento di stop prima di ritornare a allenare e delle sue prime settimane a Lecce.
“Sono stato due anni a casa e non mi sono mai annoiato, non è che non dormivo perché dovessi allenare una squadra e quindi ho trascorso il primo anno a fare cose diverse rispetto a pensare al calcio. Poi superato il primo periodo, mi sono messo a far cose che mi piacevano e non ho fatto altro che aspettare la chiamata che potesse rimettermi in gioco. La mia preoccupazione era farmi trovare pronto e preparato nel momento in cui fosse arrivata la chiamata ma mi preparavo, studiavo, aggiornavo per essere pronto nel momento in cui fosse arrivata una proposta. Ma l’ho vissuta serenamente. I calciatori? Sono aperto al confronto, è stimolante quando un calciatore mi fa domande e vuol capire, il mio compito è chiarire un problema, non voglio che i calciatori facciano così con la testa (annuisce, n.d.r) e poi non abbiano capito nulla. Sono aperto al dialogo e al colloquio, la mia porta è sempre aperta. Rispetto al passato, è soggettivo chi vuole chiedere e capire e chi no. Dorgu e Baschirotto? Dorgu è molto giovane, è un ragazzo di grandi qualità fisiche e tecniche, ancora bisogna capire qual sia la sua collocazione precisa in campo, quella più naturale. In questo momento credo di sapere quale sia ma questo non significa che lui non possa avere delle evoluzioni. Però è un giocatore forte che ha grande autostima, grande personalità, un bel motore, poi ovviamente dalla sua ha l’età e non può far altro che migliorare. Baschirotto, è sempre al campo, anche quando c’è il giorno di riposo. E’ arrivato in Serie A grazie al rispetto dei suoi principi di sacrificio. Lui dice “io sono arrivato in A perché ho sempre fatto così, perché altrimenti non ci sarei mai arrivato” e questo diventa la sua forza. Ha una disponibilità al lavoro straordinaria, è un capitano giusto e presente, con il quale io ho un ottimo rapporto, è molto importante per questo Lecce e quasi determinante. E’ un punto di riferimento non soltanto calcisticamente, ma lo è con tutta la sua sfera”.
Racconta poi di come vive l’etichetta di “maestro”, attribuitagli per la prima volta in una conferenza stampa da Pellegatti, ai tempi del Milan: “Dipende da che accezione si dà al termine, se maestro in senso di rispetto, o maestro perché ti prendono in giro (ride, n.d.r). Probabilmente per le mie caratteristiche, ma non mi sento un maestro, sono un organizzatore di squadre, di collettivo, che non si limita agli 11, ma allargo la sfera a tutti i calciatori che ho sempre allenato affinché ognuno si riconoscesse in un compito, in un ruolo e non ho mai pensato ad un calcio o un’organizzazione individuale, come quella di oggi in Italia. Il fatto di pensare di giocare in un modo collettivo e il dover comunque trasferire dei messaggi, probabilmente ha fatto arrivare a questa definizione, ma io non mi ci sono mai riconosciuto. Ai tempi, ho smesso di giocare molto presto, non avevo forse neanche 30 anni e ho iniziato girare, a guardare gli allenatori dell’epoca, ero rimasto molto affascinato dal grande Milan di Sacchi, ma non avevo mai avuto la possibilità di andarlo a vedere ma conservavo dei vhs e quindi guardavo. Poi all’epoca sono andato a vedere Spalletti, Del Neri – il primo ad essere audace per alcuni principi e concetti, – ed erano gli allenatori di riferimento nel 96/97/98/2000”.
La Juventus: “Nel 2009 è risaputo che dovessi andare alla Juve, però avevo 38/39 anni, non avevo una carriera da grande calciatore alle spalle, semi sconosciuto e avere l’opportunità lì era qualcosa di impensabile. La delusione fu tanta, ma cercai di metterla da parte e di dimenticarla, poi ho avuto delle vicissitudini negative che qualcuno ha giustificato con la delusione di non essere andato, ma non è così. E’ stata un’opportunità”.
Foto: Instagram Lecce