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Il calcio italiano non è sprofondato ieri: i problemi sono culturali e operativi

25.03.2022 | 15:06

Dalla grandezza di un’impresa alla catastrofe di una débâcle. La serata di ieri ha riesumato lo sconforto sportivo che il movimento calcistico italiano pensava di aver scacciato dalla propria quotidianità grazie alla sorprendente e incredibile vittoria dell’Europeo. Otto mesi sono passati da un momento all’altro, un lasso temporale che pare tanto, troppo ristretto per tentare di fornire un’analisi lucidi. Tutto sempre contorto, complicato, inspiegabile. Forse non è così, forse il tutto è più semplice – per quanto variegato – di quanto si pensi.

La nottata non ha portato pensieri bensì critiche, accuse, ricerca di imputati. Come in ogni dinamica sportiva, sia essa positiva o negativa, la necessità di riferimenti agli individui è vissuta con la carnalità che contraddistingue il calcio italiano. Inutile soffermarci sull’elencazione degli accusati, da Mancini a Gravina, passando per i calciatori, rei di aver contribuito allo sprofondamento nel profondo rosso in cui l’Italia sarà costretta nuovamente a navigare.

Qui è necessario, a detta di chi scrive, il primo ribaltamento rispetto alle opinioni solidificatesi in queste ore: l’Italia non è precipitata contro la volitiva ma mediocre Macedonia del Nord. Credere che sia così rende l’analisi miope, superficiale e probabilmente inesatta. Lo storico della Nazionale agli ultimi Mondiali, con due eliminazioni ai Gironi e due mancate qualificazioni, richiede e comporta l’obbligatorietà di non soffermarsi sulla singola partita. Il nostro movimento non può più permettersi, da anni, la caccia alle streghe.

Palesano fondamenta sabbiose i discorsi sulle scelte tecniche di ieri, legittimamente argomentabili ma, qualità alla mano, superiori al contradditorio macedone indipendentemente dagli elementi (Joao Pedro o Scamacca, Immobile o Belotti, Berardi o Zaniolo, presenti o non presenti). Contro la Macedonia può e deve bastare ogni componente della rosa a disposizione, motivo per il quale, è bene ribadirlo, il discorso non può essere concentrato sul singolo.

La quarta delusione Mondiale consecutiva, la seconda lancinante, apre alla necessità di rendere concreti tutti i discorsi fatti da anni ma che, analisi del movimento alla mano, ad oggi rappresentano esercizi di scrittura creativa.

La pandemia ha rallentato la possibilità di destrutturare e ricomporre la gestione economica del Calcio Italiano, ma non bisogna nascondersi dietro la sterilità operativa che malauguratamente ci contraddistingueva.

Dalla questione diritti tv, dove i plurimi accordi siglati rendono la portata dei ricavi e la conseguente distribuzione comunque deficitarie in termini di opportunità per i club di Serie A, passando per la limitatezza infrastrutturale che riguarda stadi e centri sportivi, senza dimenticare la tragicomica approssimazione che caratterizza i settori giovanili: la nefasta crisi vissuta dall’Italia avrebbe dovuto portare, o comportare, l’adozione di nuovi modelli gestionali, ma così (al momento) non è stato.

I punti snocciolati nell’ultimo paragrafo meriterebbero ognuno un editoriale specifico, che per ragioni di lunghezza non presenteremo in questa sede, ma il cumulo di contraddizioni con il quale conviviamo ha decisamente fatto il suo tempo. Bisogna smetterla, scontrosità indesiderata ma necessaria, di ritenere l’Italia un’eccellenza calcistica per ragioni storiche e culturali. Anzi, la cultura è proprio la componente da aggiornare: il nostro movimento è poco creativo, propenso all’aggiornamento, restio alle novità tanto tattiche quanto metodologiche che altrove hanno già attecchito e portato sia risultati che materiale umano.

Al contempo sono state implementate misure ad oggi inoperose: i cinquanta Centri Federali Territoriali sparsi per il territorio che non hanno accelerato la centralità dei giovani nella rinascita del nostro calcio, parte di un Evolution Programme che non ci ha reso accostabili al sapiente lavoro tedesco, francese o belga, ovviamente anche a causa del nefasto COVID, che ha ridotto sensibilmente il numero di società, tesserati e di partite ufficiali nel microcosmo giovanile e dilettantistico.

Tanto, tantissimo, bisognerebbe ancora dire. Non basterebbero giorni a sciorinare i mali del calcio italiano che, triste ripetizione, non ci hanno fagocitato ieri sera. L’hanno già fatto da tanto tempo.

Autore: Francesco Fedele

Foto: Twitter Azzurri