Il Conte Max è un film del 1957 con l'indimenticabile Alberto Sordi tra i protagonisti. Nei corsi e ricorsi che possono essere adattati al calcio, in casa Juve il Conte è Max, al secolo Massimiliano Allegri. Il Conte non tanto casualmente, perché doveva far dimenticare don Antonio nel cuore della marea di tifosi bianconeri sparsi per il mondo. Il Conte è Max (Allegri) perché, dopo le normali diffidenze iniziali, è entrato piano piano nel cuore della gente. Lavoro, applicazione, studio completo, qualche sberla in Champions assorbita da "spugna", in attesa di ripartire con nuove idee. Idee che possono rivelarsi vincenti, la strada è quella giusta.
Il Conte Max ha ereditato la difesa a tre e non si è certo posto il problema di rivoluzionare dopo tre anni ricchi di successi in Italia, sintonizzarsi alla voce "scudetto". La storia di Allegri dice e sottolinea come il rombo (senza patate) sia stato al centro delle sue idee, un trequartista al servizio di due punte. Oppure, come alternativa intrigante, due trequartisti alle spalle di un attaccante, la sostanza cambia poco. Dunque, un esperimento iniziale con la conferma del sistema che, nei primi trenta metri, è stato il cavallo di battaglia del suo predecessore. Qualche mese di apprendistato, da prudente interprete nel segno della continuità piuttosto che della rivoluzione.
Il Conte Max ha attraversato qualche momento difficile e qualche oceano procelloso: in Champions, sia a Madrid che ad Atene, non era andata benissimo. A Madrid per una prudenza ritenuta dai più eccessiva, in quel primo tempo si poteva stanare l'Atletico abbastanza impaurito. In Grecia enorme dazio da pagare alla malasorte, dopo il gol di Kasami un dominio indiscutibile con Roberto nei panni del portiere con le molle. Qualche critica, più o meno velenosa: a quel punto Allegri ha aperto l'ombrello e si è riparato senza grossi problemi. Forse perché sapeva che tatticamente stava per arrivare il momento di imporre certe idee consolidate. E per mettere così nel cassetto i ricordi, comunque incancellabili, relativi al suo predecessore. L'intelligenza di chi subentra a chi viene, non a torto, considerato un Mito è quella di studiare, capire, ambientarsi, non imporre subito e poi proporre gli ingredienti essenziali del nuovo corso. Strategia indolore, intelligente.
Il Conte Max è entrato piano piano nel mondo Juve, ha toccato i tasti giusti, ha rispolverato la difesa a quattro, non ha rinunciato in contemporanea al poker d'assi di centrocampo che tutti gli invidiano. E poi, in assenza di Pirlo, si è divertito sprigionando la fantasia, sicuro che gli equilibri dalle parti di Buffon sarebbero stati maggiormente tutelati. Allegri tocchi ferro e faccia gli scongiuri, ma la sensazione è che sia arrivata la fase della messa in onda di principi che - con la indiscutibile qualità dei singoli - possono mandarlo in orbita.
C'era una volta Antonio Conte, per sempre nei cuore della gente Juve. Quando andò via, all'improvviso ma non tanto in una sera d'estate, sembrava la fine di tutto. I catastrofisti avevano sentenziato che sarebbe stata una stagione di profonda transizione. Addirittura. Allegri ha memorizzato, in quelle notti aveva un ombrello più grande, si è riparato bene bene. Pioveva e sembrava proprio che la pioggia non smettesse più di cadere. E che, forse, si sarebbe tramutata in una tempesta. Ora non ha ancora vinto, nessuno può dargli certezze, ma si è incamminato sul sentiero che piace a tutti gli allenatori del mondo. Quello della credibilità agli occhi del tifoso medio bianconero. Non è poco.
Ecco perché, oggi, il Conte (è) Max.
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