IL PAULISMO
28.09.2015 | 23:50
Si sono divertiti a ricordargli che nel 2008 poteva allenare a Treviso. E lui è quasi cascato dalle nuvole. Perché a lui, Paulo Sousa, non interessano i ricordi e l’aria fritta. Preferisce il presente per guardare al futuro: è la filosofia dei concreti. Si chiama Paulismo e va tradotto così: dare alla squadra che alleni un senso di potenza e prepotenza, di organizzazione e qualità in ogni zona del campo. Meglio ancora: capire in fretta, un secondo prima degli altri, cosa devi fare e come devi farlo. Quella voglia matta di eseguire al centimetro, lasciando nulla al caso, la ricerca frenetica dei particolari. Il Paulismo non è un passaparola, oppure chissà cosa. Il Paulismo è un modo di passare dalla teoria alla pratica, di trasmettere l’idea di calcio in senso di organizzazione totale. In un mondo di improvvisatori (anche tra gli allenatori, perché no?), quando si respira aria così pulita non è importante capire per quale squadra tieni. È molto più importante metterti in visione, più che all’ascolto, e farti un’idea molto chiara.
La Fiorentina è una cartolina con i colori del Paulismo. Intuendo la filosofia di Sousa, non gli sarà piaciuto quel possesso palla sterile – tanto per perdere tempo – in avvio di ripresa. Quando l’Inter era sotto di tre pere, e di un uomo, e i discepoli viola hanno pensato di far trascorrere i minuti con una specie di torello. In antitesi rispetto alle idee del Maestro, infatti il caso (oppure no?) ha voluto che dietro l’angolo ci fosse una punizione, il gol di Icardi. Inezia, rispetto a una partita che la Fiorentina aveva messo in cassaforte. Ma la vera squadra era quella del primo tempo, piena essenza del Paulismo: difesa alta, palla a terra, verticalizzazioni, sovrapposizioni, il palleggio di Borja più il genio di Badelj, neanche un piccolo concetto lasciato al caso. E poi la rivalutazione di Ilicic, uno che con Paulo può esplodere definitivamente, nel bel mezzo del ciclone Kalinic, tra una discesa di Alonso e una miscela centellinata. Dove nessuna cosa nasce per un bacio della dea bendata. Stiamo esagerando? No, semplicemente stiano giudicando dopo aver assistito. La lode a Sousa, comunque vada la stagione, appartiene a quest’altra riflessione: quando un allenatore arriva per la prima volta in Italia, pur avendo frequentato da centrocampista la nostra serie A, solitamente ha bisogno di qualche mese, almeno di qualche settimana, per capire. Lui no: ha studiato e imposto, passando dalla semina alla cassa. Occhio che l’unica sconfitta in campionato, nella tana del Toro, maturò per un fazzoletto di minuti in pieno black-out dopo un’altra recita che aveva stregato l’osservatore medio.
Il Paulismo non ha bisogno di prove e controprove, si capisce presto – quasi subito! – se l’orchestra funziona e il maestro è di livello. Ecco perché oggi a noi, che non siamo tifosi, interessa poco capire fino a dove potrà arrampicarsi la Fiorentina. È più che sufficiente, un’autentica goduria, lustrarci gli occhi. Il Paulismo secondo Sousa: siete tutti invitati, saranno pomeriggi o notti di vero piacere.
Foto: zimbio.com