Come ben sapete, ogni mattina dedichiamo un approfondimento ad un calciatore balzato agli onori della cronaca nelle ore immediatamente precedenti, vuoi per questioni riguardanti il calciomercato vuoi per significative prodezze sul rettangolo di gioco.
Ebbene, oggi il nostro personaggio più che altro è un monumento, corrispondente all'identikit di Steven Gerrard, la bandiera del Liverpool che ieri, con la sua doppietta di rigore ad Upton Park contro il West Ham, ha permesso ai Reds di mantenere il primato solitario in Premier League. Due punti di vantaggio sul Chelsea, quattro sul Manchester City, a cinque giornate dalla fine. In effetti gli uomini di Pellegrini devono ancora recuperare due partite, ma alla prossima renderanno visita proprio ai Reds nel loro fortino, ingrato compito che il 27 aprile spetterà anche ai Blues di José Mourinho.
Insomma, alle latitudini di Anfield Road è finalmente lecito sognare quel titolo che ormai manca da ben 24 stagioni, un trionfo che per Gerrard rappresenterebbe il degno coronamento di un'epopea. Oltre che un premio alla sua fedeltà. Sì, perché il quasi 34enne centrocampista universale in carriera ha difeso sempre gli stessi colori, anche se in questo caso il termine va declinato al singolare: il rosso, identificativo della compagine più blasonata del Merseyside. Una scelta di cuore, paragonabile a quella compiuta all'interno dei nostri confini da Francesco Totti. Due campionissimi che avrebbero potuto optare per il cambio di casacca in qualsiasi momento: la fila delle qualificate pretendenti avrebbe richiesto il classico numerino. E invece no, Steven come Francesco: protagonisti di un matrimonio inseparabile, a dispetto di qualsiasi sirena che avrebbe consentito loro di sollevare trofei a ripetizione. Lo avrebbero meritato, per le qualità tecniche infinite che caratterizzano il pedigree dei fuoriclasse, ma ha prevalso in loro il senso di appartenenza. Bello così, giusto così. Il problema in questi casi è rappresentato dalle società, perché la storia recente insegna che non sempre sono disposte a concedere infiniti rinnovi ai propri vessilli, cui magari dovrebbe essere riconosciuto il privilegio di poter lasciare a loro piacimento, nel momento ritenuto più opportuno. Troppi indizi, a qualcuno in Australia staranno fischiando le orecchie.
Volendo snocciolare qualche numero, Steven nasce a Whiston, alle porte della città dei Beatles, il 30 maggio del 1980 e da piccolissimo inizia sgambettare proprio nella scuola calcio locale. Già all’età di 7 anni, però, gli scout del Liverpool lo adocchiano e convincono la famiglia a farlo approdare nel settore giovanile, dove il fulgido talento completa tutta la trafila dell’Academy fino all’esordio in prima squadra, datato 29 novembre 1998 contro il Blackburn, quando Evans e Houllier lo fecero subentrare nel finale al norvegese Heggem.
Sin qui sono complessivamente 664 le presenze - 470 delle quali in Premier League - collezionate con la gloriosa maglia Red, con 173 gol all’attivo, di certo non pochi per un centrocampista sia pur polivalente e di caratura planetaria. Nella sua bacheca si contano 2 Coppe d’Inghilterra, 3 Coppe di Lega, 2 Community Shield, 1 Coppa Uefa, 2 Supercoppe Europee e la celeberrima Champions League del 2005, conquistata in quel di Istanbul agli ordini di Rafa Benitez contro il Milan, che subì l’inopinata rimonta (fu proprio Steve ad avviarla) dallo 0-3, per poi perdere ai calci di rigore. “Come potrei pensare di lasciare Liverpool dopo una notte come questa?”, chiese alla stampa il gladiatorio capitano nei minuti successivi. Il tempo poi confermò l’ovvio, ossia che trattavasi di una domanda retorica.
Anche perché, malgrado l’attuale scadenza sia prevista per il 2015, Brendan Rodgers non sarebbe mai disposto a fare a meno della sua colonna portante, tanto in campo quanto nello spogliatoio. Dopo avergli fatto sottoscrivere l’ultimo accordo biennale lo scorso luglio, molto presto - magari dopo l’estate - il manager nordirlandese provvederà al nuovo contratto.
D’altronde, malgrado gli anni passino, rinunciare ad un interprete di questo calibro risulterebbe realmente difficile: Gerrard ha ricoperto con profitto tutti i ruoli del centrocampo, può giocare da centrale o sull’esterno, così come alle spalle delle punte, a voler tacere che agli esordi si disimpegnò sulla corsia destra della retroguardia. Legge il gioco come pochi, recupera palloni, costruisce l’azione e supporta quella offensiva, apre il compasso e calibra lanci millimetrici, ha sempre saputo inserirsi in zona gol, eccelle nel gioco aereo ed è anche munito della staffilata dalla distanza oltre che di un fisico granitico (183 cm per 83 kg). Un repertorio da numero uno assoluto, non lo scopriamo certo oggi ma era giusto ricordarlo. Le prossime saranno settimane intensissime per Steven, impegnato nella rincorsa all’agognato sogno Premier prima di prendere l’aereo per il Brasile dove guiderà, fascia al braccio, la Nazionale dei Tre Leoni nella quale conta finora 109 presenze, condite da 21 realizzazioni. Il buon Roy Hodgson conta su di lui, al pari di un Paese intero, ma prima Gerrard spera di ascoltare dalla Kop il più forte You'll Never Walk Alone della storia, levando al cielo il celebre trofeo coronato che spetta ai campioni d’Inghilterra.