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Italiano: “Non mi accontento mai. Sono malato di calcio. Ci vogliono sacrifici”

01.08.2021 | 12:55

Lunghissima intervista di Vincenzo Italiano che si racconta al sito ufficiale della Fiorentina. 

Queste le sue parole: “L’unica mia aspirazione è sempre stata quella di fare il calciatore, fin da quando ero bambino. Quindi anche se vivi e nasci al Sud, dove è molto difficile, penso che la grande passione, il grande amore che uno può avere per questo sport riesca a far ottenere l’impossibile.

Vi garantisco che venire fuori dal paesino in Sicilia dove sono nato io è un qualcosa di straordinario. E’ un paesino vicino ad Agrigento, si chiama Ribera. Io sono solo il terzo, di tutta la storia, a diventare un calciatore professionista. 

La passione ti spinge a fare sacrifici. A 15 anni sono andato via di casa, a studiare lontano, vivere lontano dalla famiglia, abbandonare amicizie. Lasciare tutto quello che a quell’età pensi di non poter mai abbandonare. Quindi sono diventato un giocatore professionista. E’ stata una carriera bella, con tanti anni in A ed in B, e tante soddisfazioni.

Nella zona dove sono cresciuto le difficoltà sono date dalle strutture, l’organizzazione. Di squadre professionistiche ce ne sono molte meno rispetto al Nord, così come le opportunità. 

Devi essere veramente “malato”, appassionato, avere grande amore per questo sport. E chiaramente le qualità le devi avere, quelle te le dà il Padre Eterno. 

Io personalmente sono riuscito a sfruttare le mie qualità. Sono stato anche fortunato ad avere un percorso in cui ho conosciuto anche allenatori che mi hanno cambiato. Per esempio, da ragazzino giocavo ala destra, mi piaceva andare sul fondo e crossare. Poi un giorno arrivò un allenatore e mi mise a fare il play. Pronti via, ci rimasi male, perché mi allontanò dalla porta, mi piaceva fare gol. Invece forse è stata la mossa vincente, perché da lì ho iniziato a mettermi in mostra, a farmi apprezzare, ad andare prima nelle giovanili del Trapani in C, poi nelle giovanili del Verona in Serie A, facendo il doppio salto, e poi iniziare questa carriera.

Ho fatto undici anni nell’Hellas Verona, poi Chievo e Padova. Poi ho allenato ad Arzignano, poi in provincia di Padova nei dilettanti. Praticamente tutta la carriera in Veneto, e da siciliano mi sono trasformato in veneto. Mia moglie è di Verona, i miei figli sono nati a Verona.    

Durante il mio percorso ho sviluppato il richiamo a fare l’allenatore, grazie anche a tanti allenatori che mi hanno ispirato, e che mi hanno spinto a fare questa scelta. Poi piano piano ho iniziato, facendo negli anni una scalata incredibile, ottenendo vittorie in D, in C, in B ed in A, una dietro l’altra. Un percorso netto, completo, con poi la salvezza lo scorso anno con lo Spezia in Serie A, che ha chiuso questo cerchio di quattro anni fantastici.

L’anno scorso ci davano tutti per retrocessi. E cosa abbiamo fatto? Un grande risultato. Ma se ti accontenti, come fai a fare questo lavoro? Non riesco a godermi tante cose, faccio fatica a dormire. Questo può essere il mio segreto, che sta facendo la differenza, insieme alla sicurezza nei propri mezzi. 

Qualche volta il mio staff o i giocatori sono soddisfatti, ma io gli rispondo che non va bene e che si deve fare meglio.   

Non mi accontento mai, sono malato di calcio”.  

Foto: Twitter Fiorentina