Kluivert: “L’Ajax il club che lancia più talenti, è meraviglioso giocare per la Roma. Con Fonseca arriveranno i risultati”

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Justin Kluivert, esterno offensivo olandese della Roma, ha parlato al sito ufficiale dei giallorossi: "Il mio primo ricordo è legato a quando giocavo per l’ASV De Dijk e nella stessa squadra giocavano anche i miei cugini e i miei fratelli. Penso sia la prima cosa che mi ricordo davvero. Ovviamente mi ricordo anche di quando tiravo calci al pallone assieme ai miei fratelli. Mi è sempre piaciuto avere un pallone, ci giocavamo molto. Ovviamente, mio padre era uno dei giocatori a cui mi ispiravo quando ero piccolo – e mi ispiro tuttora a lui. Ma ammiravo anche altri giocatori come Cristiano Ronaldo. È un giocatore da prendere ad esempio, così come Lionel Messi, ovviamente". Sei sempre stato consapevole del fatto che tuo padre fosse una stella del calcio? "Ci ho messo un po’ di tempo per capirlo, ovviamente. All’epoca, anche quando ne ho preso coscienza, era comunque qualcosa di strano per me, perché per me era semplicemente mio papà. Non l’ho mai visto giocare – almeno non nel picco della carriera. C’erano molte persone che lo ammiravano per i traguardi che aveva raggiunto. Lo ammiravo e lo ammiro ancora, ma lo vedevo in maniera diversa". Pensi che le persone ti abbiano trattato in maniera diversa, considerato che giocatore è stato tuo padre? "Sì, penso di sì. Forse quando giochi da piccolo, magari quando hai 10 anni, molte persone parlano troppo, pensano che tu venga scelto perché sei figlio di tuo padre o cose del genere. Ma è una cosa che mi ha sempre motivato. Mi ha reso quello che sono oggi, mi ha reso un giocatore migliore, perché mi ha motivato giorno dopo giorno, per dimostrare a queste persone che nulla mi era dovuto solamente per il cognome che portavo. È stato uno stimolo". Com'è stato crescere nel vivaio dell’Ajax? È considerata da molti una delle migliori scuole calcio d’Europa. "Penso che lo sia, penso che sia la migliore, soprattutto perché è sotto gli occhi di tutti come i giocatori del vivaio rendano al massimo anche in prima squadra. Le squadre giovanili sono organizzate molto bene. In termini di alimentazione, istruzione, tutto è perfetto. E il livello di calcio è il migliore d’Olanda e credo anche d’Europa". Com'è stato invece per te arrivare in prima squadra? È successo tutto rapidamente? "Sì. È stato un sogno che diventava realtà. Giocare all’Amsterdam Arena era un sogno che coltivavo sin da bambino. Era l’unica cosa a cui pensavo. E sono riuscito a realizzare quel sogno. Era il mio obiettivo principale e sono contento di averlo raggiunto. È la cosa che sogni ed è il motivo per il quale lavori così duramente. Penso di aver lavorato duramente per dieci anni per raggiungere quell’obiettivo, avevo appena sette anni quando ho iniziato e l’esordio è arrivato a 17 anni". Cosa ricordi di più del periodo in prima squadra? La cavalcata in Europa League? I gol che hai segnato? "Di tutte le cose, direi il mio esordio. Ma mi ricordo bene anche tutti i gol che ho segnato con quella maglia, soprattutto quelli più belli. Ed è stato bello far parte del gruppo che è arrivato a giocarsi la finale di Europa League". Arriviamo, quindi, all’estate del 2018. Quando e come hai deciso di lasciare l’Ajax? "All’inizio non pensavo davvero ad andare via. Poi sono arrivate alcune offerte interessanti e mi si sono presentate delle opportunità delle quali ho dovuto parlare assieme alla mia famiglia e a chi mi stava vicino. Non è stata una decisione semplice, senza dubbio. Perché avevo giocato per tutta la vita nell’Ajax e lasciare l’Ajax sarebbe stato sicuramente una scelta importante. Alla fine ho pensato che sarei stato in grado di fare il grande passo. Quindi ho preso la mia decisione e tutti mi hanno appoggiato al 100%. Perché la Roma? In parte è stato il club in sé. Avevo visto la Roma raggiungere le semifinali di Champions League la stagione precedente. È davvero un grande club. È un club meraviglioso. Era una grande opportunità per me. Poi pensi anche alla città, una città bellissima, e a quanto sia bello poter vivere in una città del genere. Ho pensato, poi, che alla Roma avrei potuto crescere come calciatore, quindi era una situazione vantaggiosa a prescindere. Qui il calcio è più fisico e anche più tattico. Ma vuoi riuscire a calarti al meglio nel contesto, adattarti e crescere. Per questo motivo ho deciso di fare questo passo avanti, per mettermi alla prova ad un livello più alto. Penso sia quello che sto facendo ora – e voglio fare ancora meglio". Come valuti la tua prima stagione alla Roma? "Ho imparato molto. Come ho detto, tutto cambia quando passi dal calcio giovanile a quello professionistico e tutto cambia di nuovo quando arrivi in Serie A. Ho dovuto ambientarmi e le cose non sono andate sempre bene – anche perché la squadra ha avuto qualche difficoltà. Penso non ci fossero le condizioni per sperimentare qualcosa di nuovo con i diversi giocatori, ma questo fa parte delle cose che impari. Ma sono ancora giovane e devo passare anche attraverso momenti negativi per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. Questo è quello che penso". Questa stagione ha segnato un nuovo inizio: come ti trovi con Paulo Fonseca? "Le impressioni erano buone sin dall'inizio. Quando è arrivato, era subito chiaro quale fosse il suo obiettivo. ed è sempre chiaro quando parla e spiega le cose. Gli piace molto lavorare con la palla in allenamento e questa è una cosa che a noi giocatori piace. Credo che insieme potremo certamente ottenere risultati importanti". Sei stato impiegato molto in quasi tutte le partite di questa stagione. Quanto è stato importante per te? "Penso sia stato molto importante. Pensando allo scorso anno e guardando alla nuova stagione, ho pensato: ‘Ok, questo deve essere il mio anno’. Non posso rimanere in panchina anche in questa stagione, perché non è quello il tipo di giocatore che voglio diventare. Se reagisci in maniera negativa a un momento o a un commento negativo… se non cerchi di fare qualcosa a riguardo, le cose non cambieranno. Ma se provi a cambiare, se pensi ‘Cosa posso fare per cambiare la situazione?’, ci sono più possibilità che tu riesca a cambiare le cose. È quello che cerco di fare sempre". Cosa hai pensato quando gli Europei sono stati rinviati? Pensi che questo ti offra una possibilità in più per prenderne parte? "Sicuramente. Speravo di riuscire a partecipare già quest’anno e stavo lavorando duro anche per questo obiettivo oltre che per la Roma e per me stesso. Con il rinvio, avrò più tempo per prepararmi. Avrò un anno in più di esperienza e questo può essermi d’aiuto. Dovrò fare in modo di dare il massimo con la Roma per riuscire a ritagliarmi un ruolo da protagonista anche con l’Olanda e darò il 100% per questo". Prima della sospensione sembravi aver intrapreso una striscia positiva a livello di continuità e di gol, come quello contro il Gent. "Sì è vero, stavo facendo bene, dando il mio contributo con gol importanti ed è questo che voglio sempre fare per a squadra. Quando sono arrivato mi sono fissato come obiettivo di segnare in maniera costante, sapevo che avrei dovuto imparare molto e superare degli ostacoli duri. Ho anche subito un infortunio molto fastidioso ma sono tornato più forte e in fiducia". Come’è allenarsi da soli? È difficile trovare le giuste motivazioni? "Io sono sempre motivato. Ho grandi obiettivi e questi mi mantengono sempre motivato. Mi sto allenando ancora più duramente non solo per mantenermi in forma ma per continuare a migliorare". Ti sembra strano che il Governo abbia dato il via libera agli allenamenti per gli atleti individuali dal 4 maggio mentre i calciatori devono attendere fino al 18? "Sì mi sembra decisamente strano, ovviamente tutti vogliamo ricominciare il prima possibile. Non mi sembra ci sia molta differenza tra il rischio di correre individualmente in un parco con altra gente intorno a noi e il farlo a Trigoria con i soli compagni di squadra, anzi… Ma non spetta a noi decidere. Vogliamo tornare a giocare il prima possibile ma la decisione non dipende da noi. Attendiamo le scelte e ci faremo trovare pronti". Perché sei passato al numero 99? "Quando sono arrivato qui, ho scelto di giocare con il numero di maglia del mio amico Abdelhak Nouri, a cui penso sempre. Mi sono detto che, sebbene non lo avessi comunicato pubblicamente, avrei giocato con il numero 34 per un anno. Volevo farlo per lui, era un modo per essergli sempre vicino. Poi, questa estate, è arrivato il momento di cambiare. Volevo il numero 11, a dire la verità, ma ce l’ha Aleksandar Kolarov. Gli ho chiesto di darmelo un centinaio di volte, ma non è stato possibile". Glielo hai davvero chiesto? Sei stato molto coraggioso. "Sì, sì. Ma non ha ceduto. Avevo pensato anche ad altri numeri, ma non erano disponibili neppure quelli. Quindi ho pensato che avrei giocato con il 99 sulla schiena. Sono nato nel 1999, l’ho scelto per questo motivo". Hai indossato il 34 in onore di Appie Nouri. Eri in campo al momento dell’incidente? Come si può riuscire a metabolizzare una cosa del genere? "È molto difficile, perché è successo tutto molto velocemente ed è stato strano vedere come si è svolto il tutto. È chiaro che all’inizio ho sperato per il meglio, ma poi è successo il peggio. È molto triste, per la famiglia e per i giocatori che erano in campo assieme a lui in quel momento. È qualcosa di impossibile da dimenticare, perché non sono cose che succedono nel calcio. Non succedono mai, a dire il vero. È qualcosa che non potrò mai dimenticare. Mi ha insegnato a godermi il presente, a godermi ogni momento, perché non si sa come possono andare le cose nella vita. È sicuramente un insegnamento che ho tratto da quell’incidente". Foto: Champions League Twitter