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LAHM, TALENTO, SACRIFICIO E GENEROSITÀ: STORIA DI UN LEADER SILENZIOSO ASCOLTATO DA TUTTI

09.02.2017 | 09:30

“Il nostro sport ha bisogno di attaccanti letali, marcatori, eroi. Ma il calcio è molto più del momento del trionfo. Il calcio è lavoro di squadra, unità, difesa, assist e sacrificio”. Se la storia di Philipp Lahm dovesse essere raccontata in un film, queste parole pronunciate dallo stesso difensore tedesco potrebbero essere l’inizio perfetto della pellicola, il modo migliore per introdurre il personaggio di cui si narra. Squadra, unità, difesa, sacrificio, in sostanza i concetti su cui lo storico capitano del Bayern Monaco ha costruito un’intera carriera. E che carriera: otto titoli di Bundesliga, una Champions League, una Supercoppa Europea, un campionato del mondo per club, sette Coppe di Germania, tre Supercoppe nazionali e una Coppa di Lega tedesca. E poi c’è il capitolo nazionale: una Coppa del Mondo alzata nel 2014, da capitano, a coronamento di un percorso che lo aveva portato ad accarezzarne già due in precedenza. Insomma, tutto quella che c’era da vincere Lahm l’ha vinto. Il campione tedesco, celebrato e osannato dall’intero mondo del calcio, ha deciso di dire basta, di staccare la spina ad una carriera che nessuno si era accorto fosse finita, come quei campioni romantici incapaci di aspettare la fine naturale per non dover vivere il nostalgico trauma dei tempi che furono, quando le gambe erano ancora veloci, e la sola presenza in campo intimoriva gli avversari.  Lahm ha detto basta e l’ha comunicato come sempre nel suo stile, senza snaturarsi, senza troppi fronzoli, lontano dalla schiera di luci delle telecamere e dal capannello di microfoni dei giornalisti. Lo ha fatto in un’anonima serata d’inverno, quando nessuno (nemmeno lo stesso club baverese) se lo aspettava: “Ho deciso di ritirarmi, sono abituato a dare sempre il massimo e così farò fino a fine stagione. Ma credo che poi non ne sarò più in grado”. Parole semplici, chiare e comprensibili, in linea con il personaggio Lahm. Una perdita incredibile per il Bayern, rimasto comprensibilmente scosso da questa improvvisa decisione, ma un vero e proprio lutto per tutto il mondo del calcio, che assiste impotente all’eclissi di uno dei suoi protagonisti più lucenti, uno degli esempi più rappresentativi dell’ultimo decennio, un campione stimato da tutti, mai sopra le righe; la dimostrazione vivente che nel calcio si può essere fuoriclasse anche senza tatuaggi, macchinoni e capigliature improponibili. Lahm del calcio è l’intelligenza, la ponderatezza la generosità: una persona eccessivamente normale per riempire le copertine dei giornali ma nello stesso tempo troppo intelligente e talentuoso per non diventare un simbolo di questo sport. La storia di Lahm calciatore inizia prestissimo, quando a soli 11 anni entra a far parte delle giovanili del Bayern Monaco, con cui vince due volte la A-Junior Bundesliga, di cui una da capitano. A 17 anni, nel 2001 è già tempo di cimentarsi con il calcio dei grandi: viene mandato a farsi le ossa nella seconda squadra del club bavarese, dove l’anno successivo è già eletto capitano dall’allenatore Herman Gerland: “A 17 anni lo ritenevo il giocatore perfetto, pronto per farsi le ossa in prestito. Nessuno lo voleva, però”, racconta Gerland. “Addirittura un dirigente andò a vederlo e volle un rimborso per la benzina, tanto era rimasto deluso. Dopo qualche anno lo incontrai nuovamente a Berlino e mi disse: bene, quanto ti devo pagare per quel viaggio?”. Nel 2003 viene promosso in prima squadra, ma chiuso da Bixente Lizarazu e Willy Sagnol, passa in prestito allo Stoccarda. Ed è proprio nello Stoccarda di Magath che il giovane Lahm inizia ad esprimersi a livelli alti. Al termine delle due stagioni a Stoccarda, Gerland conferma tutte le sue sensazioni: “Non penso sia capace di sbagliare una partita” afferma il suo ex allenatore. E in affetti di partite Lahm ne ha sbagliate poco anche dopo il suo ritorno in baviera. Celebre è rimasta la partita in cui non sbagliò nessuno dei 133 passaggi effettuati. “Perfetto” e “Mr. 100%” le parole usate da Guardiola dopo quella gara contro l’Hertha Berlino: “E’ praticamente impossibile giocare meglio di Lahm nella sua posizione, soprattutto alla luce di queste ultime partite”, aveva detto l’ex allenatore del Barcellona. Le 12 stagioni vissute con il Bayern sono storia recente del calcio ai più alti livelli, e non c’è nemmeno bisogno di raccontarle: 12 anni in cui ha il capitano ha vinto tutto e ha guidato da leader lo spogliatoio bavarese. Un leader vero, uno di quelli abituati ad imporsi senza alzare la voce, ma come un esempio, sacrificandosi e allenandosi tutti i giorni sempre come se l’indomani vi fosse una finale di Champions da giocare. Il Bayern perde il proprio capitano, un punto di riferimento fondamentale oltre che un calciatore dal talento fuori dal comune, ancora oggi uno dei migliori esterni difensivi in circolazione. Ma ad essere penalizzato è tutto il mondo del calcio, che dalla prossima stagione non sarà più il mondo di Lahm: non semplicemente la fine di una storia, ma la chiusura di un’epoca.