Mancava soltanto l'ultimo tassello per completare il semplice puzzle avviato venerdì da Luis Enrique, congedatosi dal Celta Vigo adducendo motivazioni che avevano svelato quello che era già un segreto di pulcinella: “Non c'è una ragione unica, ho lasciato la mia famiglia a Barcellona e questo mi pesa. Oggi sono triste, ma un anno qui a Vigo per me è sufficiente. Se questo significa che allenerò i blaugrana? Non confermo né smentisco, per ora non posso parlare del mio futuro”.
Poi era toccato ad El Tata Martino, dopo il pareggio con l'Atletico costato la Liga al Barcellona, ufficializzare l'interruzione anticipata del rapporto in essere. Ieri sera, infine, all'ora dell'aperitivo sono arrivati gli annunci in contemporanea: il club galiziano ha reso noto di aver scelto Eduardo Berizzo quale erede di Luis Enrique, la cui immagine contestualmente iniziava a campeggiare sulla homepage di fcbarcelona.com. Appena un paio d'ore dopo l'agognato rinnovo finalmente siglato da Leo Messi, immortalato - penna in mano - all'atto del nuovo accordo sottopostogli dal sorridente presidente Bartomeu. Non a caso, aggiungeremmo: nelle intenzioni della società il 19 maggio del 2014 dovrà essere ricordato come il giorno della rifondazione, che prende il là dalla conferma della pietra miliare e dal ritorno del figliol prodigo.
Ha vinto l'ambiente, ma ha vinto anche l'influente stampa catalana che da tempo si era intestata la campagna finalizzata a riconsegnare il Barça ai blaugrana: Lucho sulla scia dell'eternamente rimpianto Pep, cui nel 2008 subentrò alla guida del Barcellona B e che oggi in Baviera viene bistrattato dal suo stesso Kaiser Franz benché abbia vinto 4 titoli su 6 alla sua prima annata tedesca. Il 5 maggio poi il quotidiano Sport aveva immortalato Andoni Zubizarreta, direttore sportivo del club culé, fuori dall'abitazione di Luis: 3 ore e mezzo di summit per limare i dettagli e iniziare a mettere concretamente a punto le strategie in vista del mercato estivo.
E così, archiviata in fretta la scommessa Tata, chiamato in fretta e furia al capezzale (poiché tra i pochissimi disponibili lo scorso luglio) dopo il definitivo abbandono del compianto Tito Vilanova, il management del Camp Nou ci riprova con Luis Enrique. Sì perché, per noi italiani, che abbiamo visto il suo celeberrimo "progetto" Roma iniziare ad imbarcare acqua alle prime increspature, il 44enne asturiano formatosi come tecnico a La Masia sulla carta rappresenta un nuovo azzardo. Specifichiamo: magari all’interno dei confini nazionali la scelta potrebbe dare buoni frutti, ma il Lucho che conosciamo noi in Champions potrebbe non fare la differenza a livello tattico. È possibile che la sua prima esperienza nella Liga a Vigo, dove ha conseguito una tranquilla salvezza al timone del Celta, lo abbia fortificato dopo l’anno sabbatico passato ad approfondire le sue conoscenze, vedremo quali saranno i riscontri del campo.
Passando adesso in rassegna le date più significative della carriera da calciatore del nostro personaggio del giorno, Luis Enrique Martínez García nasce a Gijon l’8 maggio del 1970 e proprio nel locale Sporting si forma a livello giovanile, fino al debutto in prima squadra risalente al settembre del 1989. Nell’estate del 1991 il Real scuce l’equivalente di 3 miliardi di vecchie lire e porta l’esterno offensivo a Madrid: 1 Liga, 1 Coppa del Re e 1 Supercoppa di Spagna nell’arco di un quinquennio chiuso con 241 presenze e 23 gol all’attivo, prima del clamoroso tradimento (motivo per il quale ancora oggi è amato e ricordato in Catalogna) che lo induce a sposare la causa del Barça, indossando la cui maglia rivincerà gli stessi trofei più volte e aggiungerà al suo personale palmarès anche 1 Coppa delle Coppe e 1 Supercoppa europea, lasciando un’impronta nitidissima grazie alle ben 115 reti realizzate nelle 333 partite in cui è stato chiamato in causa.
A livello di nazionali, oltre all’oro olimpico conquistato nel 1992 (guarda caso tenutesi a Barcellona, primo segno del destino), si contano 5 apparizioni nell’Under 21 e 62 nella Roja, alcune delle quali raggranellate ad Usa ’94 tra cui quella contro l’Italia, che lo rese celebre nel nostro Paese per la gomitata rifilatagli da Mauro Tassotti, impunito dall’arbitro ma successivamente stangato con 8 giornate di squalifica dalla Fifa.
Amante del ciclismo, della maratona e anche del surf (nel 2004 si trasferì 1 anno in Australia per cavalcare le onde dell’Oceano), adesso Luis dovrà rispettare le grandi attese che tutto il Barcelonismo ripone in lui, nella speranza di smentire quel paragone (ingombrante per chi?) con André Villas-Boas, un altro nato con la camicia che però, prima di ottenere la rendita in panchina, quanto meno vinse tutto il possibile nella magica annata 2011 alla guida del Porto di Hulk e Falcao.