I tifosi della Juventus lo ricorderanno soprattutto per quel celeberrimo gol a Barcellona in Champions. Era il 22 aprile 2003 e, dopo l'1-1 interno all'andata, al Camp Nou i primi 90' terminano con lo stesso punteggio. Poco male, perché ai supplementari è proprio lui, Marcelo Zalayeta, a zittire il pubblico di casa: cross dalla destra di Birindelli, piattone volante e 2-1 con allegata qualificazione alla semifinale. Quella competizione si chiuderà nel peggiore dei modi per i bianconeri, con l'amarissima notte di Manchester che resterà per sempre nel cuore dei milanisti. Ma il Panterone - questo il famoso soprannome dell'uruguaiano - il suo l'ha sempre fatto ogni volta che è stato chiamato in causa. E potrà continuare a farlo in futuro, nonostante abbia ufficializzato il ritiro dalla prossima stagione. "Smetterò di giocare nella prima metà dell'anno. Cosa farò dopo? Aprirò una bancarella di frutta e verdura...". Una battuta? Nient'affatto. Nel solco di tutti quei calciatori che, una volta appese le scarpette al chiodo hanno dato vita ad attività che col calcio non hanno niente a che vedere, anche l'attaccante classe 1978 si darà da fare. Magari non sarà una semplice "bancarella", come ha voluto scherzosamente annunciare, ma il futuro sembra essere piuttosto delineato. Una nuova vita che il diretto interessato vorrebbe intraprendere dopo aver lasciato il mondo pallonaro da vincente: "Mi sono reso conto che non sto dando quello che potrei dare. Non mi sento un ostacolo, ma questa è una decisione personale che ho preso cinque mesi fa. Sarebbe bello finire da campione con il Penarol".
Gli stessi Carboneros che sono stati la sua catapulta verso il calcio che conta e con cui terminerà la propria ventennale esperienza in questo sport, quasi come un cerchio magico che si completa e che chiude tutti i conti con il passato. Zalayeta deve al Danubio il suo esordio tra i professionisti, ma al Penarol la vetrina decisiva (complici le sue 13 reti in 32 presenze che hanno portato la sua squadra a vincere il titolo) per il grande salto chiamato Juventus. Una delle tre tappe in cui la Vecchia Signora ha contraddistinto la sua carriera, tre step uno completamente diverso dall'altro: il primo nella stagione 1997/1998 con solo 6 apparizioni e 1 gol (al debutto in A), oltre a uno scudetto e una Supercoppa italiana vinti ovviamente non da protagonista; il secondo tra il 2001 e il 2004, quello foriero dei maggiori successi (3 scudetti, di cui quello revocato del 2005, e 2 Supercoppe italiane); il terzo tra il 2004 e il 2007, culminato con la vittoria del campionato di serie B. Nel mezzo, tre parentesi ancora una volta del tutto differenti tra loro: Empoli, Siviglia e Perugia. Una carriera dai mille colori, la sua. Mille, come quelli trovati a Napoli nel biennio 2007-2009, quasi la sua seconda giovinezza. Contribuisce a suon di centri (12) e di ottime prestazioni alla consacrazione degli azzurri guidati da Reja verso la dimensione internazionale poi confermata negli anni a venire con Mazzarri e Benitez. Una sorta di "antenato" del grande club che oggi nelle mani di De Laurentiis si impone anche in campo europeo. Due toccate e fuga con Bologna e Kayserispor, poi il ritorno in patria, con il suo Penarol. Lì, dove ha già conquistato due anni fa un altro titolo, dove ha continuato e dove tuttora delizia le platee con le doti che lo hanno sempre caratterizzato: invidiabile forza fisica, stacco imperioso, andatura solo apparentemente lenta ma tremendamente efficace negli ultimi 20 metri. Il classico ariete, il punto di riferimento offensivo che la mette sempre dentro. Frutta e verdura possono attendere: prima c'è il terzo scudetto uruguaiano da portare a casa. Lasciare da campione, si sa, è il sogno di tutti. Anche di Marcelo, Panterone di Montevideo che in serie A ha lasciato un segno indelebile.
Foto: Uefa