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MARKO PJACA, LAMPI DI ALTA CLASSE CON L’ITALIA NEL DESTINO

22.07.2016 | 10:30

Pjanic, Dani Alves, Benatia. Anything else? Ovviamente sì. Perché quando si tratta di Juve, soprattutto di questa Juve 3.0 targata Allegri, l’asticella va di diritto posizionata sempre più in alto. E allora ecco a voi Marko Pjaca, il quarto botto estivo acceso e fatto esplodere da Marotta e Paratici. Un colpo a effetto tanto potente quanto costoso, ben 23 milioni di euro, seppur pagabili in due esercizi. Ma non inganni il superficiale giudizio basato sulla mera cifra sborsata. Siamo infatti di fronte a un vero e proprio leader, sotto il profilo tecnico ma anche carismatico, a dispetto degli appena 21 anni compiuti lo scorso 6 maggio. L’Euro-boom è stata la naturale conseguenza di un gioiello che non aspettava altro che emergere in una kermesse di rilievo internazionale. Troppo stretta la vetrina di Zagabria, troppo elevata la voglia di mettersi alla prova in un contesto nettamente più probante. Proprio come la serie A, lido prestigioso scritto nel suo destino da settimane. Esattamente da quando l’Inter era stata la prima a farsi avanti, seguita a ruota dal Napoli in un’operazione che avrebbe coinvolto anche Rog. Poi si è materializzata lei, la Vecchia Signora, che quando può e vuole ha dimostrato di saper far man bassa di giovani talenti (più o meno emergenti) senza troppi patemi. Contratto quinquennale e tanti saluti alla concorrenza tricolore.

 

 
Negli occhi di tutti, dagli addetti ai lavori ai semplici tifosi, restano ancora impresse le scene chiave che ritraggono alla perfezione le caratteristiche del diretto interessato. Due partite su tutte: l’ottavo di finale a Euro 2016 contro il Portogallo e il ritorno del playoff Champions che lo ha visto contrapposto al Vardar Skopje. Gara numero uno: rapidità, dribbling, intelligenza tattica e caratura tecnica da vendere. In soli 10 minuti a disposizione nel secondo tempo supplementare, prima e dopo la beffa firmata Quaresma, ha dato piena dimostrazione di che cosa è in grado di fare, destreggiandosi sulla fascia con la grinta del veterano e la classe del numero 10. A proposito di fascia: può giocare indistintamente a destra e a sinistra, altro punto enorme a suo favore. Gara numero due: l’impersonificazione del concetto di autorità, con i due pesantissimi calci di rigore tirati alla perfezione che hanno regalato ai suoi compagni l’approdo al terzo turno della più importante competizione continentale. Un omaggio non da poco, un modo per ringraziare e dire malinconicamente addio al suo Maksimir, teatro di un processo di maturazione giunto ormai al suo stadio finale. Possiamo facilmente immaginare, durante il viaggio che lo ha portato dritto a Torino, quali immagini della carriera siano scorse davanti ai suoi occhi. Gli inizi con la Lokomotiv, l’esordio in Champions con la Dinamo, i due scudetti di fila vinti negli ultimi due anni. Poi quel fatidico pomeriggio. Il telefono squilla, lo scenario che gli si presenta davanti non capita tutti i giorni. L’Italia nel proprio futuro, a tinte bianconere. L’aereo che parte, i tifosi che lo accolgono festanti. La firma. Fuori da quella stanza, le idee di mercato che continuano a circolare, con Higuain e Pogba sprofondati in una doppia telenovela di mercato dal crescendo rossiniano. Marotta però è instancabile: guai ad associare il suo nome alla sensazione di appagamento. Almeno per ora, come piace dire a lui. In quella che potrebbe essere la stagione ideale per dare l’assalto a quella Coppa dalle Grandi Orecchie che manca da 10 anni. Un po’ come l’Italia del 2006, quando quasi l’intera rosa era al massimo della forma e pronta ad arraffare la gloria. Intanto, Pjaca è della Juve. E un giorno non troppo lontano potremmo ritrovarci a parlare della Juve di Pjaca.

 

Foto: Juve Twitter