MASSIMO ODDO, IL CARISMA E LA CLASSE DEL PREDESTINATO

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"Che grande emozione...in #SerieA con la squadra della mia città!", ha twittato subito dopo il grande traguardo raggiunto ufficialmente ieri a Trapani. Con lo stesso entusiasmo con cui la gente di Pescara aveva accolto la sua inusuale idea di fare la rifinitura in Piazza Salotto appena cinque giorni fa, prima della gara d'andata all'Adriatico. Ora, per Massimo Oddo, è il momento degli elogi. Perché ha dimostrato sul campo, con i fatti, di essere già pronto per la massima categoria. Perché alla sua prima vera esperienza in panchina, al netto di quella con la Primavera del Delfino della scorsa stagione, ha subito portato a casa il massimo risultato, alla soglia dei 40 anni che compirà tra quattro giorni. Il tutto impreziosito da quel magico abbraccio a Serse Cosmi al 90'. Niente retorica o spettacolarizzazione del sentimento, ma solo un gesto genuino fatto da una persona genuina. Che in sé racchiudeva un messaggio semplice: dodici mesi fa ero io al tuo posto, adesso tocca a me esultare. Magari non con lo stesso tenore dell'impresa fatta a Berlino nel 2006, quando si presentò davanti alle telecamere - dopo i rigori con la Francia - visibilmente brillo al punto da far pensare che la famosa "cesta di birre" messa nello spogliatoio azzurro non l'avesse fatta fuori tutta lui. Dieci anni più tardi, lo ritroviamo a celebrare la pietra miliare di una carriera da allenatore che, viste le premesse, ha tutte le carte in regola per regalare e regalarsi grandi soddisfazioni.   Il dibattito sulla percentuale di incidenza del lavoro di un allenatore sui risultati che poi effettivamente la squadra coglie sul rettangolo verde è argomento di discussione ormai da decenni. E viene quasi da pensare che, vista l'annata da capogiro di Gianluca Lapadula, autore di 27 reti nella "regular season" e di altri tre pesantissimi centri nei playoff, i meriti di Massimo Oddo debbano calare vistosamente. Invece non è affatto così. Anzi: se l'italo-peruviano ha reso così tanto al punto da essere super corteggiato dalle big sul mercato, se Caprari è definitivamente esploso tanto da meritare il grande salto in pianta stabile in A, se il gioco e le qualità espresse dalla squadra (un 4-4-2 iper-offensivo capace di produrre 69 reti in 42 partite di campionato, secondo miglior attacco del torneo) sono serviti a ottenere la ricompensa più dolce (e non solo l'apprezzamento degli addetti ai lavori), il merito è proprio suo. Lui, che rappresenta un curioso unicum del calcio italiano: suo padre Francesco, dal 1994 al 1996, era sulla stessa panchina che ora occupa proprio il figlio Massimo. In Italia è il primo caso "genealogico" di sempre a livello professionistico. All'orizzonte, ora, una ricca e succosissima sfida. Ben più probante del quinquennio con la maglia della Lazio, della stagione al Milan o del prestigioso approdo al Bayern Monaco vissuti da giocatore. Sarà il momento delle conferme, del "vediamo di che pasta è fatto". Anche se fino a qualche ora fa, dal 1' al 90' (e oltre), la risposta sarebbe la stessa un po' per tutti.   Foto: Oddo on Twitter