MORATTI E IL RISPETTO CHE NON C’È
23.10.2014 | 22:00
Il rispetto è una parola cancellata da qualsiasi vocabolario, ormai. Come la gratitudine: nel calcio, poi, sarebbe come cercare i 35 gradi in Groenlandia, pie illusioni. La storia di Massimo Moratti, che ha da poco rinunciato alla carica di presidente onorario dell’Inter, sembra la fotografia più nitida di simili ragionamenti. Cerchiamo di capire perché.
A Moratti tutto si può rimproverare tranne l’amore che ci ha messo per il club, dal 1995 al 2013. Lunghissimi anni, non pochi e banali mesi. Compresi i soldi investiti, talvolta senza un minimo ritorno, semplicemente per la passione che aveva. E per il sentimento che lo ha portato a ripercorre le orme dell’indimenticabile papà Angelo. Quando è un problema di dna, diventa anche patetico giudicare cosa ha sbagliato e cosa ha indovinato. Contano molto di più le motivazioni che lo avevano portato ad abbracciare in toto la Beneamata come una figlioletta che aveva bisogno di assistenza, sempre. A costo di prendere decisioni opinabili, magari avventate, non sempre con un criterio di assoluta logica.
Già soltanto per questo il congedo avrebbe dovuto comportare un minimo di stile. Come quando assisti a un film pieno di cose avvincenti, belle o brutte non importa, ma comunque all’insegna di un coinvolgimento totale da parte dell’attore protagonista. Non è che poi quel dvd lo debba mettere sotto i piedi e frantumarlo, disinteressandoti di una storia che ti ha coinvolto e che ha comunque contenuto momenti indimenticabili. A Moratti è stato negato tutto questo, basta e avanza per farsi un’idea di come oggi il calcio, specchio della vita quotidiana, sia diventato un frullatore. Dove l’abc della forma viene lasciato in cantina, dove l’importante è sbarazzarsi di una persona. E poco importa se quella persona ha fatto la storia, ha scritto pagine indelebili, ha mandato in rosso un bilancio, ha dato la precedenza ai colori nerazzurri e alla spinta che partiva dal cuore.
E’ possibile che il carattere di Moratti sia andato oltre la normale gestione della vicenda e che l’abbia condizionata. Ma è nello stesso tempo inconcepibile che il rapporto con Thohir, persona scelta dallo stesso successore per un sano e convincente trasferimento di quote, non abbia contenuto i minimi ingredienti per una serena convivenza. E magari per un congedo ancora più sereno. In fondo, i paletti erano stati fissati fin dal primo minuto. E sarebbe stato giusto evitare incomprensioni, equivoci, stilettate, dichiarazioni al cianuro. Il discorso comprende Walter Mazzarri che ha ribadito un concetto: l’allenatore che va in campo non deve lasciare nell’armadio i sani principi di stima nei riguardi di un suo ex datore di lavoro. A scegliere Mazzarri è stato Moratti in persona, non certo l’usciere della sede (senza nulla togliere). E quindi, a seguito di normali considerazioni su risultati insufficienti, sarebbe stato opportuno avere un po’ di garbo. I risultati all’Inter mancano, o no? il gioco anche, o no? Gli alibi sono pochini, o no? E quindi Mazzarri avrebbe potuto benissimo cavarsela con un “capisco Moratti, ora sono concentrato su altro, spero di dargli le risposte sul campo”. Sarebbe stato bello, ma ormai è chiaro che Mazzarri quando parla va in tilt. A maggior ragione se deve giustificare qualche disfatta (una volta la colpa era soltanto degli arbitri). E fa fatica perché la salita è troppo dura e viene respinto a valle.
Certe volte basterebbe il rispetto. E anche quando non c’è, spesso, basterebbe molto poco. Ecco che anche un eventuale congedo da celebrare con champagne e pasticcini, nel ricordo dei tempi che furono, diventa un supplemento al cianuro. Siamo sempre più piccoli, ce ne siamo ormai resi conto.