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Sarri e Allegri, filosofie agli antipodi: l’estetica del calcio contro il pragmatismo

30.11.2017 | 23:35

Napoli-Juve

Quattro punti è la distanza che separa Napoli e Juventus, alla vigilia del big match della quindicesima giornata di Serie A. Prima della classe contro terza, una sfida al vertice del calcio italiano, ormai una consuetudine da diversi anni a questa parte. Napoli-Juve non è mai una gara come tutte le altre, ma sarà – come sempre – un incrocio pieno di significato. Al San Paolo andrà in scena una sfida a parti invertite rispetto all’andamento degli ultimi campionati: stavolta sono i bianconeri ad inseguire, con i partenopei fin qui quasi perfetti e al comando della classica con due lunghezze di vantaggio sull’Inter. Napoli-Juve sarà anche il ritorno in terra campana di Gonzalo Higuain, vecchio idolo del popolo azzurro e ora nemico giurato numero uno. Il Pipita scalpita per castigare ancora una volta la sua ex squadra, ma dovrà fare i conti con un problema alla mano che lo terrà in dubbio fino alle ultime ore antecedenti il match. Ma Napoli-Juve sarà anche – e soprattutto – Sarri contro Allegri, due filosofie di calcio così agli antipodi, ma che hanno segnato profondamente le carriere dei due allenatori più influenti del calcio italiano in questi ultimi anni.

Max era arrivato a Torino tra lo scetticismo generale, quando tutti avevano impressi davanti agli occhi i successi della Juve targata Conte. E, probabilmente, anche il suo passato rossonero. Dal “noi Allegri non lo vogliamo” sembrano essere passati anni luce. Gli stessi anni trascorsi da quell’Aglianese-Sangiovannese, quando le strade di Allegri e Sarri si incrociarono per la prima volta, in serie C2. Sugli spalti c’erano circa 400 tifosi ad assistere a quella partita. Zero a zero, zero tiri in porta. Quattordici stagioni più tardi, eccoli l’uno contro l’altro a giocarsi una buona fetta di campionato. La carriera in panchina di Sarri comincia nel 1990, con Stia e Faellese, in Seconda Categoria. E poi Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto, Sansovino, fino ad arrivare alla sopracitata Sangiovannese. Altro giro, altra corsa: Pescara, Arezzo, Avellino, Verona, Perugia, Grosseto, Alessandria, Sorrento. La svolta si chiama Empoli: un triennio cominciato non benissimo, proseguito con la promozione in A e concluso nel migliore dei modi: la salvezza conquistata con 4 giornate di anticipo. Quindi ecco la chiamata più inaspettata: quella di erede di Benitez alle pendici del Vesuvio. Una carriera partita dai bassifondi per arrivare nell’elite del calcio nostrano. Stesso percorso che ha visto protagonista anche Max Allegri, partito dall’Aglianese prima di scalare le gerarchie fino alla massima serie: Spal, Grosseto, Lecco, poi il miracolo Sassuolo, con la conquista del campionato di C1 e la conseguente promozione in B. L’anno successivo segna il salto in Serie A, con il Cagliari che decide di affidargli la panchina. Debutto nella massima serie a 41 anni, quattordici in meno di quelli che aveva Maurizio quando assaporò per la prima volta la A. Una partenza in sordina, poi ecco i risultati e la salvezza ottenuta già all’ottava giornata del girone di ritorno. Nel giugno del 2010 arriva l’occasione della vita: il Milan. Anche in quel caso la reazione della piazza fu di diffidenza mista a sconforto, quasi consapevole di dover andare incontro a un periodo di vacche magre. Invece, a fine stagione, i rossoneri di Max alzarono al cielo scudetto e Supercoppa italiana, senza nemmeno lasciare il tempo di far ricredere gli scettici. Più o meno lo stesso accadde dopo l’approdo alla Juve: scudetto, Coppa Italia, Supercoppa italiana, al primo tentativo. Il resto è storia recente.

Da due anni a questa parte, la sfida tra Napoli e Juve ha assunto i contorni affascinanti del big match da mille e una notte. Sarri, senza Higuain, ha plasmato un gruppo straordinario, capace di giocare un calcio tra i più belli d’Europa, riscontrando però sempre dei problemi nel confrontarsi con la Vecchia Signora, soprattutto negli scontri decisivi. Nella passata stagione la Juve si impose 2-1 all’andata, mentre il ritorno finì 1-1, con i bianconeri che poco dopo avrebbero festeggiato il loro sesto scudetto consecutivo. In mezzo, l’incrocio in semifinale di Coppa Italia, con l’undici di Allegri che ancora una volta ebbe la meglio dei partenopei nella doppia sfida, che spianò la strada verso la finalissima vinta contro la Lazio. Lo scorso anno gli azzurri hanno chiuso al terzo posto in classifica, nonostante gli 86 punti conquistati e il miglior attacco del torneo (94 reti). Frutto di una Juve più matura, più incisiva, più forte. Almeno fino ad agosto, quando il Napoli ha iniziato il campionato correndo a cento all’ora senza mai fermarsi, nonostante il destino abbia costretto Sarri a fare a meno di pedine importati (Milik e Ghoulam) già in questo avvio di stagione. Se fino all’altro ieri la retroguardia bianconera era pressoché impenetrabile e l’attacco napoletano timbrava il tabellino dei marcatori senza soluzione di continuità, ora i ruoli sembrano essersi invertiti: il Napoli ha alzato un muro in difesa, attualmente la migliore del campionato insieme a quella della Roma (appena 9 le reti subite), senza però rinunciare alla qualità del gioco e allo spettacolo offerto da Insigne, Mertens e compagni; mentre la Juve in questa stagione segna a raffica (miglior attacco del torneo con 40 centri), con la retroguardia che non appare così solida come quella di una volta. Sarri contro Allegri, due filosofie quasi agli antipodi: il primo ha scelto l’estetica del bel calcio per coltivare il sogno scudetto, il secondo è l’impersonificazione della concretezza e del pragmatismo, che farebbe volentieri a meno dello spettacolo per arrivare alla vittoria. “Lo spettacolo si fa al circo: conta solo il risultato”, la celebre frase pronunciata da Max. Sarri contro Allegri, così diversi ma sempre lassù in classifica, pronti a contendersi lo scettro del primato. Domani sera, nella bolgia del San Paolo, saranno di nuovo lì, con addosso gli occhi del mondo per il primo vero crocevia tricolore. Guai, però, a definirla “partita scudetto”. I diretti interessati non sarebbero affatto d’accordo. Anche se, a onor del vero, un eventuale successo del Napoli potrebbe pesare come un macigno sulle velleità scudetto dei bianconeri, che in caso di sconfitta scivolerebbero a -7. Ma con altre 23 partite ancora da disputare, il margine di incertezza resterebbe ancora tutt’altro che risicato. E allora, che la palla passi al campo, come sempre l’unico giudice supremo che non guarda in faccia nessuno.

Mauro Cossu

 

Foto: zimbio