NO CALCIO, SOLO VELENI

Categorie: Editoriale

Non parliamo più di calcio, ormai. Fateci caso, uscendo da qualsiasi fede e passione. Ogni settimana scivola via con i soliti quesiti: le curve chiuse, giù stadi sempre più vuoti, le assurde ammende da 25 mila euro. Assurde perché, anche qui al di fuori di qualsiasi fede e passione, non ha un senso dare 25 mila euro per uno striscione orrendo. Meglio dare zero. Così come non avrebbe senso per chi getta fango sulle vittime dell'Heysel, su Paparelli, sui tifosi del Napoli utilizzando il Vesuvio, si potrebbe continuare fino a dopodomani.




Non parliamo più di calcio, ormai. Una volta si disquisiva sugli errori o le magie degli allenatori, su una mossa vincente e su una giocata del campione. Si andava in archivio, si facevano i paragoni con gli assi di vent'anni prima, comprese le valutazioni di mercato. Era bello perché si accendeva il dibattito, si registravano mille idee o teorie diverse, ognuno restava con le interpretazioni originarie e non si lasciava certo condizionare da un giudizio completamente agli antipodi.


Non parliamo più di calcio, ormai: dovremmo ribellarci piuttosto che farcene una ragione. La settimana tipo è incastrata in modo maledetto. Il lunedì è dedicato agli arbitri. Il martedì spesso alle reazioni di chi li dirige (male) e magari al designatore più permaloso sulla faccia della terra. Il mercoledì viene fuori qualche buco societario. Oppure qualche presunto intruso che vorrebbe rilevare il club tal dei tali, ma poi si scopre fatalmente che è un bluff. Il giovedì è l'antipasto dei veleni del fine settimana: escono le designazioni, qualcuno mette le mani avanti, qualche altro risponde. Caos purissimo.




Non parliamo più di calcio, ormai. E se ci sta bene così allora non diciamo che è un sano divertimento e un passatempo dai benefici assicurati. Più che altro è un modo per intossicarci bene, dimenticando di approfondire, per esempio, i motivi che portano a passare dalla difesa a tre piuttosto che a quattro. Non ci interessa, è quasi un optional, una volta era il nostro comandamento.


Non parliamo più di calcio, ormai. La colpa è di tutti. Anche dei giornalisti che difendono quell'orticello a prescindere. Oppure che "violentano" un giudizio, lo soffocano: dicono quando potrebbero/dovrebbero non dire, non dicono quando invece dovrebbero urlare al mondo la loro ribellione. Siamo tutti dentro, nessuno escluso. È il sistema sbagliato, assuefazione. Inutile che Tizio canti fuori dal coro: bene che vada, resta isolato.




Non parliamo più di calcio, ormai, eppure diciamo di volere i cambiamenti. Uno stadio intero ulula contro Lotito e Lotito giura che è una mossa orchestrata da qualcuno. Al punto da convincere quarantamila persone? Beh, quel qualcuno deve essere un genio. Gervasoni, l'arbitro, un altro po' si accascia al suolo se Borja Valero neanche lo sfiora. E poi, amico mio adesso ti faccio vedere chi sono io, gli appioppa quattro giornate senza che qualcuno nella stanza dei bottoni intervenga con procedura d'urgenza per cancellare almeno tre turni. Lasciando Gervasoni a casa per tre settimane, gli stessi turni (in più) che ha fatto rifilare in modo assurdo a Borja Valero.


Non parliamo più di calcio. Ormai. Anzi, lo slogan sarebbe: no calcio, solo veleni. Cosa vorresti di più dalla vita? Un po' di tattica. Prego, ripassare: chissà quando.