Era il 28 ottobre del 1998 quando Gianluca Vialli, ancora nei panni di allenatore/giocatore prima di appendere gli scarpini al chiodo, dopo aver siglato una tripletta all’Aston Villa in Coppa di Lega decise che sul 4-1 poteva permettersi di fare esordire un 18enne di talento: fuori l’ex Foggia Dan Petrescu, dentro il baby John Terry. Partiamo da qui. Ebbene, nella giornata di ieri, il Chelsea ha ufficializzato che il contratto in scadenza di JT, capitano dal lontano 2004, on sarà rinnovato. Niente tormentone: questa volta, a differenza delle ultime stagioni, quando alla fine era sempre arrivato il prolungamento (rigorosamente annuale, in aderenza alla politica societaria sugli over 30), la storia è finita davvero. O meglio finirà al termine dell’annata in corso che vede i Blues sempre in testa alla Premier (anche se il vantaggio sul Tottenham si è ridotto a 4 lunghezze) e con una semifinale di Coppa d’Inghilterra da giocare proprio contro gli Spurs di Pochettino fra quattro giorni. Una decisione presa di comune accordo, come spiegato nel lungo comunicato pubblicato dalla società di Abramovich, contenente anche le motivazioni del capitano: “Andrò via al momento giusto, sento di avere ancora molto da dare in campo e per questo cercherò una nuova sfida, ma ho capito che gli spazi qui al Chelsea sarebbero stati limitati”. Limitati per utilizzare un eufemismo, dato che già quest’anno Conte gli ha concesso la miseria di 716 minuti. Appena 366 in Premier League con ultima apparizione datata 6 novembre, un piccolissimo spezzone contro l’Everton. Dopodiché, tre presenze da titolare in FA Cup, ma tutte contro squadre di categorie inferiori (Peterborough, Brentford e Wolverhampton). Troppo poche per chi si sente ancora un calciatore di livello e che appena due anni fa, a dispetto delle tante primavere sulle spalle, era riuscito a tagliare un traguardo invidiabile, diventando il secondo giocatore di movimento nella storia della Premier League, dopo Gary Pallister (Manchester United 1992-1993), a giocare tutti i minuti di tutte le partite e poi vincere il campionato. Due anni fa però il Chelsea lo allenava il “suo” Mou, lo stesso Mou che il giorno di Pasqua ha complicato non poco il cammino di don Antonio verso il titolo. Semplice coincidenza ovviamente, mentre magari non lo è il dato che con Conte le grandi bandiere, quelle cementificate nello spogliatoio, durano al massimo una stagione. Per informazioni citofonare Del Piero.
Tornando al nostro personaggio del giorno, nato a Londra il 7 dicembre del 1980, negli ultimi 19 anni John ha indossato una sola maglia, eccezion fatta per i cinque mesi in prestito al Nottingham Forrest, in Championship, nel 2000. A voler tacere del triennio nel settore giovanile dei Blues (dopo il quadriennio iniziale nel vivaio del West Ham), che portano il computo totale a 22 anni. Una vera e propria leggenda, come certificato dai numeri: 713 presenze in gare ufficiali (recordman dei Blues), 66 reti all’attivo e 16 trofei in bacheca. Nello specifico 4 Premier League, 5 Coppe d’Inghilterra, 3 Coppe di Lega, 2 Community Shield (la Supercoppa inglese), 1 Champions League e 1 Europa League. Come ricordava ieri la principale stampa britannica, Terry ha firmato 16 dei 25 titoli vinti in assoluto dalla società londinese in 112 anni, ossia il 64%. Mica male per il difensore più prolifico di sempre in Premier League, con i suoi 40 gol (il secondo, Unsworth, si fermò a 38).
Forte come pochi nel suo Paese a livello difensivo, al di là delle 78 presenze (e 6 reti) con la rappresentativa dei Tre Leoni, JT ha rappresentato, unitamente a Drogba e - soprattutto - Lampard, il Chelsea in giro per il mondo, sempre a petto in fuori, anche senza dovere stoppare il pallone. Curiosamente, ma non troppo, nessuno dei tre chiuderà la carriera sulla riva Blue del Tamigi. Un’epopea lunga e vincente a Stamford Bridge, dunque, con qualche piccolo neo. Per quanto riguarda le faccende di campo, come non pensare a quanto accaduto il 21 maggio del 2008, ossia allo scivolone in finale di Champions League contro il Manchester United, nella notte di Mosca, su quello che avrebbe dovuto essere il rigore della vittoria. L’errore più clamoroso nel momento clou della carriera. Rimpianti a mille, per quel penalty sprecato malamente. Fortuna che gli dei del calcio a JT concessero un secondo treno da prendere, quello dell’edizione 2011-12 con Roberto Di Matteo al timone. Mani finalmente sulla Coppa dalle grandi orecchie, a Monaco di Baviera, all’esito di un’altra lotteria dagli undici metri. A soccombere fu proprio il Bayern, che gettò alle ortiche la ghiottissima occasione della finale in casa. Coppa levata al cielo grazie alla clemenza del cerimoniale Uefa, ma non fu la stessa cosa dal momento che John quella partita non la giocò in quanto squalificato. Per ciò che concerne invece le vicende extracalcistiche, da ricordare lo scandalo gossip che nel 2010 lo catapultò sulle prime pagine di tutti i tabloid, con l’amicone e compagno di squadra Wayne Bridge come vittima (uscito calcisticamente distrutto dalla questione). E la controversia relativa alle accuse di razzismo ai danni di Anton Ferdinand (fratello di Rio, suo storico partner in Nazionale al centro della difesa) che gli costarono la fascia di capitano per volere della Football Association, provvedimento che tra l’altro portò alla rottura con l’allora ct Fabio Capello. “Capitano, leader e leggenda”, così il Chelsea ha comprensibilmente qualificato JT nel giorno dell’annuncio del divorzio. Lui, dal suo canto, ha spiegato che “le parole non potranno mai descrivere il mio amore per il club e i nostri tifosi”. Parole che, in questo caso, non sono di circostanza. Un’altra bandiera ammainata, ma niente e nessuno potrà mai cancellare quella storia che John ha scritto a suon di anticipi e imperiosi stacchi di testa. Aspettando la prossima sfida di Terry.
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