Occhio per il talento, attenzione per la crescita: Mino Raiola, un campione per i campioni
30.04.2022 | 19:45
Ci ha lasciato, ma prima di farlo ha avvertito l’impellenza dell’ultimo cartello, come spesso – e giustamente – ha fatto nella sua piena e dinamica vita, quando bisognava smentire notizie ingannevoli, potenzialmente perniciose, certamente false. Non tanto per sé, quanto per i suoi assistiti. Mino Raiola, che oggi ha deciso di volare verso una dimensione che non è più terrena, è stato tante cose, tutte coniugate per essere il migliore in un lavoro che oggi è tanto chiacchierato perché, probabilmente, non rispettato e coltivato come fatto dal nativo di Nocera Inferiore.
Da lì è partito, da quell’entroterra campano che tanto piccolo può apparire al cospetto del percorso poi fatto da Raiola. Torna attuale uno stupendo componimento di Alda Merini: “E se diventi farfalla nessuno pensa più a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali“. Mino farfalla lo è diventato, e troppo volte non si è sottolineato quanto abbia sgomitato per diventare il Migliore. Perchè ci ha lasciato così, da Migliore. Status che desiderava far raggiungere anche ai suoi calciatori, che dovevano per l’appunto essere i migliori e non i più pagati, come racconta Zlatan Ibrahimovic nella sua autobiografia.
Lo svedese, Haaland, de Ligt, Donnarumma, Pogba, Verratti. Poi Balotelli, Gravenberch, Mkhitaryan, Pinamonti, Lozano. Ancora Dumfries, Romagnoli, Bonaventura. Potremmo continuare, perché la lista è immensa e variegata per età, personalità, livello. Mino sapeva rapportarsi con ogni bipede senziente, aveva quella “confederazione di anime” menzionata nello stupendo Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. Tutti siamo più cose. Raiola lo sapeva, era in grado di rapportarsi, capire, analizzare, tutelare. In tante lingue (sette), ma con un’intatta capacità di saper andare dentro l’uomo. Per questo tutti volevano andare da lui. Da un campione, dal Migliore.
Francesco Fedele
Foto: L’Equipe