Marco Parolo, ex centrocampista della Lazio e della Nazionale, oggi commentatore televisivo, ha parlato di sé in un’intervista approfondita a Radio TV Serie A con RDS.
“Ho smesso di giocare e mi sono preso del tempo per valutare e capire meglio il ruolo dell’allenatore. Più passa il tempo più l’occhio mi sembra tecnico. Tra poco faccio 40 anni e può iniziare una nuova vita. Verso fine carriera capivo meglio i miei allenatori. Soprattutto nell’ultimo anno, l’ultima partita. Stadio vuoto, periodo covid, sapevo che non avrei rinnovato con la Lazio. Mi sono messo lì, nell’area tecnica e dentro di me si è creato un sogno. I sogni non si raccontano ma non è molto distante da quella panchina”.
Proposte da allenatore: “Ho ricevuto due proposte per entrare in Staff Tecnici importanti. Non me la sono sentita. Credo di essere un allenatore decisionista e quindi in prima. Ho preferito dire di no, ringraziare e continuare la mia strada di studio e preparazione”, ha poi aggiunto: “Ho preso tanto da tutti gli allenatori che ho avuto. L’amore per il calcio, quello che ti sprona a dare tutto da Antonio Conte. Conoscerlo prima mi avrebbe addirittura fatto fare un ulteriore step in carriera. Pioli aveva già l’idea di un calcio mobile. Una volta aveva in mente di far muovere da terzino a mediano dentro il campo Dusan Basta. Dusan non lo muovevi da lì ma quell’idea in seguito l’abbiamo vista sviluppare da Guardiola con Walker. Da Inzaghi ho assimilato la capacità di gestione del gruppo. C’è anche Prandelli, uomo di spessore assoluto”.
Hai costruito una scuola calcio: “Nel 2016 giocavo ancora eppure ho voluto realizzare uno dei sogni che ho sempre avuto. Una Scuola Calcio tutta mia. Una realtà dove ogni bambino non vede l’ora di andare, di allenarsi, di divertirsi. Vedo passione ogni giorno al Torino Club Gallarate. Abbiamo due centri sportivi, stiamo sistemando il secondo. Il calcio deve essere una scuola di vita che ti prepara al futuro nel mondo, che sia o meno nel calcio”.
Sulla serie C: “Oggi guardo la Serie C con grande curiosità, anche per deformazione professionale pensando ad un futuro in panchina. Una categoria che sta dando grande spazio ai giovani. Io la feci per cinque anni e mi sono serviti tantissimo. Dallo stare nello spogliatoio con adulti, passando per la lotta alla salvezza, fino a rimanere fuori dai convocati”.
Sul percorso: “Fossi uscito da un Settore Giovanile e mi avessero messo subito in Prima Squadra non sarei riuscito probabilmente a fare lo stesso percorso. Ho avuto difficoltà a Pistoia in C, il secondo anno, ho avuto la fortuna di andare a fare uno stage con l’Under 20 in Serie C. MI videro Prandelli e Cherubini. Cherubini mi prese a Foligno, lì conobbi Bisoli che poi mi portò a Cesena. Il treno giusto è passato proprio in quel giugno con l’Under 20. Mi sono preso il momento e sono salito sulla carrozza giusta”.
Salto di qualità: “A Cesena arrivò la prima chiamata in Nazionale ma non ero pronto. Davo tutto per scontato. Il secondo anno fu complicato a Cesena. Arrivavano sirene di mercato che mi distraevano. Fortunatamente a Parma ho conosciuto Donadoni. Al primo incontro, nel momento in cui mi ha stretto la mano, mi ha trasmesso una mentalità vincente che mi ha persuaso fin da subito. Una stima reciproca che rimane anche oggi. Quando giocavamo a calcio tennis era incredibile quanto voglia avesse di vincere oltre alle rovesciate straordinarie che mi lasciavano senza parole. Il secondo anno a Parma è stato il più bello a livello personale, fisico, da giocatore. Stavo benissimo”.
Il derby: “Il primo derby è stato qualcosa di incredibile. Quello che si dice è vero: di quella partita ne senti parlare ancor prima di arrivare a Roma. Quindici giorni prima inizia a scaldarsi l’atmosfera, la settimana che lo precede ancor di più, poi entri allo stadio ed è carica pura. Il primo derby, ci diedero la possibilità di scaldarci sotto la Nord, la nostra curva. I tifosi ci giravano intorno ed era energia allo stato puro; non ho mai visto una tensione così forte come in quella partita. Lo stadio pieno, un muro biancoceleste contro un muro giallorosso. È il derby del famoso selfie di Totti: un pareggio della Roma che era sotto 2-0. Nessuno si ricorda il quasi gol di Mauri di tacco evitato solo grazie ad una parata incredibile di De Sanctis. Il livello di adrenalina provato in quella partita non l’ho provato mai più: il primo derby non si scorda mai. Nel derby spesso chi parte svantaggiato poi porta a casa il risultato”.
Foto: instagram parolo