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Perinetti: “Non bisogna vivere di ricordi, ma vivere per costruirne di nuovi. Dopo 40 anni di carriera, una sconfitta non mi fa dormire la notte”

09.11.2023 | 22:40

Giorgio Perinetti, amministratore dell’area tecnica dell’Avellino, ha parlato a Rivista Contrasti, ripercorrendo la sua carriera e parlando degli stimoli che lo continuano ad alimentare dopo tanti anni di carriera.

Queste le sue parole: “Non bisogna vivere di ricordi, ma vivere per costruire nuovi ricordi. Ero un gran appassionato di calcio come tutti i ragazzi della mia epoca. Giocare non mi usciva bene. Pur tentandoci, mi rendevo conto di non esser molto bravo, di avere poche possibilità di entrare in quel mondo dal manto erboso. Quindi iniziai ad andare allo stadio con un bloc-notes dove mi annotavo tutte le marcature che vedevo in campo. Andavo a vedere sia Roma che Lazio, entrambe le squadre. Pensate che il mio premio per la promozione scolastica fu un abbonamento ridotto per la Curva. All’epoca, quando andavo all’Olimpico, osservavo il tunnel da dove uscivano i calciatori e i dirigenti e mi dicevo che anch’io un giorno vorrei esser uno di quegli omini che escono dal sottopassaggio. Da quel momento ho iniziato a pensare come realizzare quel sogno. Fu difficile, non avevo conosceze. Pensate che al Liceo ero in classe con Verdone e De Sica ma le mie attenzioni non erano al mondo dello spettacolo bensì solo ed esclusivamente allo sport. Allora decisi di rimboccarmi le maniche. Iniziai dalle giovanili, con la mia squadretta dell’epoca, la Jacobini Sport, e ottenemmo un risultato importante in un torneo giovanile. Quel successo ha catalizzato le attenzioni su di me, con alcuni dirigenti dell’epoca che erano incuriositi dalla mia persona. Passai subito alla Roma, iniziai così il mio percorso. Dal gradino più basso fino alla formazione giallorossa, era tutto come in un sogno”.

Su Maradona e la comunicazione della squalifica: “Uno dei momenti più tristi della mia carriera. Io sognavo Sivori ma Maradona era l’apoteosi, la sintesi del calcio. Era tecnica allo stato puro, passione, che si univano e davano vita ad uno spettacolo incredibile. Giocava a calcio come piace a me, con passione, trasporto, tenacia, non era un calcolatore, Maradona era il calcio alla massima espressione. Un qualcosa di unico che nemmeno in Messi trovi. Precisiamo, la pulce è un calciatore straordinario, non fraintendetemi, ma è robotizzato. Non ti comunica quell’esplosione di vitalità che invece Diego sapeva fare. Trascinare il pubblico, amare la sua gente, vivere a contatto con le persone. Ora questo non avviene più”.

Su Moggi: “Due persone hanno influenzato la mia carriera: uno era Nils Erik Liedholm e l’altro è Luciano Moggi. Tutto ebbe inizio nella stagione 1976/77. All’epoca ero un giovane dirigente del settore giovanile della Roma e lui era già alla Juventus con Italo Allodi. Agli inizi del nostro rapporto era molto diffidente, poco confidenziale, e sinceramente me ne importava poco. Dopo un anno Luciano venne da me e mi disse: “Tu farai il calciomercato con me, sarai il mio assistente”. Penso che quell’episodio, e la sua figura da maestro, sia stata decisiva per la mia carriera. Calciopoli meriterebbe un trattato, non si può riassumere in pochi minuti. Penso che se una società come la Juventus penalizzi se stessa richiedendo la retrocessione in Serie B, beh credo che lo scenario sia molto diverso rispetto alla sola Calciopoli. C’erano tante situazioni intorno molto più complesse che riguardavano gli assetti societari e quant’altro. Siete intelligenti, potete capire cosa intend”. 

Sulle nuove motivazioni: “Ho vissuto tre/quattro generazioni di calciatori e vivo in questo mondo sempre con la stessa passione. Ho 45 campionati alle spalle più le giovanili e ancor oggi, vado a Messina, perdo e non dormo la notte. Certo, ho vissuto anche tante esperienze negative, borderline, però questa passione non la riesco a smorzare. Non riuscirei a stare sul divano di casa a guardare la televisione. Mi devo sentire vivo, mi piace stare vicino ai ragazzi e magari poter dare un piccolo contributo alla loro crescita. Non solo calcistica ma anche umana. Non riesco a rinunciare a tutto questo. Ho attraversato mezzo secolo e non riesco a vedermi fuori, continuerò a farlo, cercando di mostrare modelli sani di crescita agli atleti e a chi mi sta intorno”.

Foto: twitter Brescia