PIRLOPOLI
01.12.2014 | 19:30
Chiamasi Pirlopoli l’era calcistica caratterizzata solo ed esclusivamente dalle geniali trovate del signor Andrea. Per tutti il Maestro. L’uomo che, nascendo trequartista, immaginava che prima o poi – molto presto – qualcuno lo avrebbe portato in mezzo al campo. Per dargli le chiavi e per dirgli “fai tu”.
La spettacolare giocata che ha consentito alla Juve di vincere – in dieci – il derby quando l’arbitro aveva ormai il fischietto in bocca consente di ribadire alcuni concetti. E magari di rinfrescarne altri. Il più importante: a 35 anni Pirlo appartiene a quella razza non estinta che vive per il calcio e che fa la differenza al semplice pensiero. Se continuasse così, magari scoprirebbe presto di non avere troppa birra, ma sarebbe sempre indispensabile. Un po’ come Totti che a 38 gioca con il sigaro in bocca e senza la minima intenzione di imboccare il viale del tramonto. Forse non è troppo casuale che la “meraviglia” di Andrea sia arrivata nella stessa giornata che ha poi visto Francesco fare un assist da terra e in condizioni impossibili di equilibrio. Pjanic trascorrerà l’intera settimana a pensare come il suo capitano sia riuscito a recapitargli un pallone che gli ha permesso di tirare una sassata, a pochi metri da Handanovic. A Roma sono ormai abituati, dovrebbe esserlo anche l’artista Miralem.
Ci scuserà Galliani, eccellente dirigente, ma ogni volta che Pirlo confeziona un numero del genere continuiamo a pensare che perderlo a parametro zero sia stato non soltanto un bagno per il Milan. Ma soprattutto uno degli errori più clamorosi degli ultimi vent’anni di mercato. È curioso che ora a ritrovarselo sia lo stesso intelligente allenatore, Max Allegri, che quando respirava rossonero aveva un po’ oscurato il ragazzo di Brescia. Pur stimandolo, come ci ha tenuto in seguito a specificare. E la gestione di Andrea in casa Juve è quella di uno stratega interiormente convinto che l’indicazione data a suo tempo in sede di mercato era al cento per cento sbagliata. Il pentitismo rende gli uomini più umani. Nel senso che oggi Andrea resta, ovvio, in cima a qualsiasi valutazione tecnica di Max. Se bisogna trovare il genio, urge passare da Pirlo. Quando è necessario sbloccare, chiamate Andrea. Per l’ultima disperata offensiva, affidatevi a lui com’è accaduto contro il Toro.
Tornando a Galliani, non se la prenda, ogni volta che il suo ex riferimento inventa calcio e regala magie è come se qualcuno gli chiedesse un risarcimento. Magari Berlusconi che avrebbe dovuto – da competente – bloccare quella folle scelta di perderlo a parametro zero. Liberarlo nel 2011, a 32 anni appena compiuti, sapendo che sarebbe andato alla Juve, è stato un colpo con la stessa eco ma dagli effetti opposti avuta quando a Milanello sbarcò Van Basten. A 32 anni uno come Pirlo va coccolato, tutelato e prolungato (il riferimento è al contratto). A costo, eventualmente e sperando di no, di metterlo sul mercato. Come minimo il Milan ci avrebbe ricavato un mucchio di milioni, in tanti (Real di Carletto in testa) gli avrebbero fatto prima o poi la corte. Ma sdoganarlo come un pre-pensionato è qualcosa da feroce mal di testa nei secoli.
Quando, tra vent’anni, riscopriranno Pirlopoli con nostalgia, forse non basteranno i dvd per rendere l’idea. Di sicuro aumenteranno i nostalgici, spopoleranno i dibattiti, magari il regista sarà un ruolo in via di estinzione, oppure il 4-4-2 o il 3-5-2 verrà interpretato in un altro modo. Ma proprio perché Andrea è il calcio, non ha bisogno di essere catalogato: infatti, nasce trequartista per diventare metronomo. Se tanto ci dà tanto avrebbe potuto agire da esterno d’attacco o da prima punta con i medesimi risultati.
Pirlopoli resta e sarà un momento irripetibile, come quelle poesie raccolte in un volume e pronte a resistere – nel tempo – a qualsiasi scaffale impolverato. Ecco perché non è una tendenza, neanche una promessa di chissà cosa. Piuttosto, per chi ama il calcio, una fantastica sentenza.