Era la sua notte, l’ha celebrata come meglio non avrebbe potuto. Ieri sera, in Germania-Inghilterra Lukas Podolski si è esibito per l’ultima volta con la maglia della Die Mannschaft. Presenza numero 130 (molte spese con al fianco Miroslav Klose), cifra tonda per salutare, a 32 anni ancora da compiere e con un futuro già scritto in Giappone, tra le file del Vissel Kobe, annunciato il 2 marzo al popolo dei social. L’attaccante tedesco, attualmente in forza al Galatasaray, ha dimostrato con i fatti che quella orientale è stata una semplice scelta di vita, che lui ad alti livelli avrebbe potuto ancora competere. Eccome. Basta guardare come l’ha decisa la sfida con gli inglesi: quel missile terra-aria all’incrocio dei pali non era parabile, né da Joe Hart né da qualsivoglia altro portiere. Una fucilata di sinistro quasi da fermo, il gol numero 49 in Nazionale, con la quale in proporzione ha reso molto più che nei club dei quali ha difeso i colori. Uno stadio intero e tutti i compagni a tifare e giocare per lui. Da brividi l’accoglienza del Signal Iduna Park (o Westfalenstadion che dir si voglia), con quel Poldi a giganteggiare nella curva che ospita abitualmente il muro giallo (nero) del Borussia Dortmund, da pelle d’oca la standing ovation concessagli nel finale da Joachim Low, costretto a salutare il terzo leggendario senatore dopo i già consumati addii di Lahm e Schweinsteiger. Un problema più che altro emozionale per il commissario tecnico alemanno, cui il ricambio generazionale fa dormire sonni più che tranquilli. Per non parlare del tributo riservatogli dopo il triplice fischio dai compagni.
Lukas nasce a Gliwice, in Polonia, il 4 giugno del 1985, ma due anni dopo la famiglia decide di trasferirsi in Germania Ovest, alla ricerca di migliori condizioni esistenziali in vista della caduta del Muro, poi verificatasi nel 1989. Il piccolo Poldi cresce in Renania, tra Bergheim e Pulheim, ed inizia ad accostarsi al mondo del calcio inseguendo un pallone per il FC 07 Bergheim. All’età di 10 anni entra nel vivaio del club della sua vita, il Colonia, con cui completa la trafila delle giovanili fino all’esordio in prima squadra datato 22 novembre 2003, in occasione della sconfitta casalinga contro l’Amburgo. La diciottenne punta chiude la sua prima stagione da professionista con 10 gol in 19 partite di Bundesliga, con retrocessione allegata. Avvio personale comunque scoppiettante, da predestinato, prestazioni che gli valgono nel giugno del 2004 anche il debutto in Nazionale maggiore contro l’Ungheria, regalatogli dal ct dei tempi Rudi Voeller. Da quel momento la sua carriera è corsa via tra alti (parecchi) e bassi. Sei le annate trascorse indossando la maglia del Colonia, avventura divisa in due atti e intramezzata dal triennio al Bayern Monaco. Nel 2012 il passaggio all’Arsenal per 11 milioni di euro, esperienza in chiaroscuro quella londinese, di fatto interrottasi il 5 gennaio 2015, con l’approdo all’Inter in prestito semestrale, su richiesta di Roberto Mancini (17 presenze e 1 gol, decisivo, all’Udinese). L’estate successiva, mancando un solo anno allo spirare del vincolo con i Gunners, si concretizza il trasferimento a titolo definitivo al Galatasaray, che per assicurarsi il suo cartellino versa 2,5 milioni nelle casse del club londinese. In totale sono 465, sin qui, le gare ufficiali disputate da Lukas a livello di club, con 184 gol e 99 assist all’attivo. Palmarès nel complesso abbastanza scarno, contando 1 Meisterschale (vittoria della Bundesliga), 1 Coppa di Germania e 1 Coppa di Lega tedesca (trofei tutti relativi al periodo bavarese), 1 Coppa d’Inghilterra, 1 Community Shield, 1 Coppa di Turchia e 2 Supercoppe turche. A dar luce alla bacheca di Lukas, però, ci pensa la Coppa del Mondo levata al cielo in Brasile nel 2014, seppur da comprimario (due spezzoni per 53’ totali). Trionfo celebrato con il selfie con la Cancelliera Angela Merkel che fece il giro del pianeta: un classico per Poldi, tra i primi calciatori a ‘capitolare’ al cospetto dei social network.
Niente autoscatti con la numero uno di Germania, invece, nel Mondiale di casa di otto anni prima. Quel 4 luglio del 2006, infatti, Podolski e compagni sbatterono - proprio a Dortmund - in semifinale su Buffon e Cannavaro, venendo poi eliminati ai supplementari da Grosso e Del Piero che portarono l’Italia a Berlino a prendersi la Coppa. Il nostro personaggio del giorno si consolò parzialmente, a fine competizione, con il riconoscimento individuale quale miglior giovane della kermesse iridata.
Queste, in sintesi, le tappe della carriera di Podolski, che, come ricordato in avvio, al termine della corrente stagione agonistica (che concluderà con il Galatasaray, anche quest’anno attardato in campionato) volerà in Giappone per vestire la maglia del Vissel Kobe. In controtendenza rispetto all’altra meta asiatica, ossia la Cina, che per ora va decisamente per la maggiore. Vita da samurai che verrà, ma nulla potrà mai scalfire in Podolski il ricordo della notte da sogno appena trascorsa, c’è da starne certi.
Foto: Twitter Nazionale tedesca-Twitter Podolski