Prandelli: “Ho rifiutato la Juve, ma la Fiorentina mi ha tradito. Su Lotito, la Nazionale e l’Heysel…”
Cesare Prandelli si racconta. L'ex ct della Nazionale azzurra, attualmente sulla panchina del
Genoa, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del
Corriere delle Sport. Ecco i passaggi più significativi:
"L’Europeo 2012 con l'Italia? Partiamo con zero aspettative, non avevamo programmato la finale. Succede che facciamo la spola tra Ucraina e Polonia. A Kiev battiamo la Germania in semifinale, torniamo nel nostro albergo in Polonia all’alba. Senza aver dormito, la gente ci accoglie come idoli. La sera della finale? Facciamo un solo allenamento, chiedo ai giocatori: “stiamo tutti bene?”. “Si”. Mi fido e sbaglio, in quattro avevano problemi. Siamo arrivati scarichi alla finale. Sarò sempre grato a quel gruppo ma soprattutto ai due là davanti Cassano e Balotelli. Al Mondiale successivo mi hanno contestato anche il ritiro, ma l’avevamo scelto tutti insieme, giocatori inclusi. Abbiamo perso contro la Costarica che esce nei quarti con l’Olanda, andando dodici volte in fuorigioco. Quattro o cinque giocatori di quella nazionale ci sono ancora oggi, segno che non erano scelte sbagliate. Le dimissioni? Mi arrivarono lettere minatorie e minacce a casa. Il problema di quella nazionale è che siamo andati oltre, raccoglievamo gli appelli di Don Ciotti, andavamo dai terremotati e forse abbiamo sbagliato. Quando entri nel sociale, tocchi la politica. Dopo non volevo ricominciare. Poi Rino Foschi mi parlò del Galatasaray, ci incontriamo e mi parlano di un progetto grande ed innovativo. E accetto". Prandelli prosegue con l'esperienza alla Fiorentina:
"Sono molto legato alla città, all’inizio non capivo lo spiritaccio fiorentino. Non capivo se scherzavo o mi provocavano quando mi fermavano per strada: "Te qui devi vincere tutto…”. Io sono un tipo basico, da noi sarebbe un ultimatum minaccioso. L'addio? Chiariamo, non lascio la Fiorentina, sono stato lasciato. Avevo ancora un anno di contratto. Mi dissero che avrebbero ridimensionato e che io, allenatore ambizioso, potevo andare dove volessi. Due giorni dopo leggo un’intervista di Diego Della Valle che mi dà del traditore perché volevo andare alla Juve. Era vero che la Juventus mi voleva, ma io amavo la Fiorentina, volevo portare un titolo in bacheca. Chiamai Bettega e gli dissi che non se ne faceva più niente. Traditore? Quello tradito ero io. Forse ero diventato troppo popolare, davo fastidio. La Lazio? Prima del Valencia c’era stata la trattativa con Lotito, parliamo sette ore io, lui e Tare. Mi abbraccia. “Ti preparo il contratto…” Sparisce e apprendo dai giornali che punta su Bielsa e Inzaghi. L'Heysel? Io in campo otto minuti. Ricordo uomini, donne, bambini che correvano terrorizzati in campo. Li facemmo passare da dentro il nostro spogliatoio. Scappavano passando davanti ai loro idoli, Platini, Boniek, senza nemmeno guardarli. E noi giocatori? Non avevamo visto niente, solo la folla che ondeggiava. Poi, arriva Boniperti e dice: “Ci sono due morti là fuori, non permetterò alla mia squadra di giocare questa partita”. Invece abbiamo giocato e qualcuno ha pure esultato? Fu il delegato Uefa a imporcelo per motivi di sicurezza. Pensavamo che la partita sarebbe stata interrotta a fine primo tempo. Ci dissero invece che doveva finire e che non ce ne sarebbe stata un’altra. Io non ho esultato per la vittoria e posso garantirti che nessuno di quella Juve vuole quella Coppa. I premi partita li abbiamo devoluti alle famiglie", ha chiuso Prandelli.
Foto: Independent