RAFA MARQUEZ, BALUARDO SENZA TEMPO
24.06.2014 | 09:30
Con il trascorrere degli anni la folta chioma esibita in Europa è stata accantonata in favore di un’acconciatura più sobria, ma temperamento e classe son rimasti quelli di sempre: un gol e un assist per trascinare i suoi compagni agli ottavi, da buon capitano.
No, non stiamo parlando di un attaccante né di un trequartista, bensì di Rafael Marquez, per tutti Rafa. Due colpi di testa per imprimere nitido il marchio sul superamento del turno del suo Messico: il primo è finito direttamente in fondo al sacco, complice un non perfetto Pletikosa; il secondo una classica torre per l’accorrente Chicharito Hernandez, autore del tris che ha steso definitivamente la Croazia, fuori a dispetto dei pronostici che la vedevano saldamente in prima fila, alle spalle del Brasile padrone di casa. Evidentemente l’ecatombe di Nazionali europee in questi Mondiali non è destinata ad avere fine.
Eppure l’avventura nella terra del samba non era iniziata sotto i migliori auspici per la Tricolor: qualificazione centrata soltanto al playoff contro la Nuova Zelanda, appendice inevitabile dopo un girone – quello centroamericano – mal giocato e concluso dietro Usa, Costa Rica e Honduras. Serviva la mano di Miguel Herrera per rimettere le cose a posto: l’eccentrico commissario tecnico, il quarto chiamato dalla Federazione dopo l’allontanamento di Tena, De la Torre e Vucetich nell’arco di poche settimane, si è affidato ad un organico autoctono (16 dei 23 convocati militano in patria) e i fatti gli hanno dato ragione. Sette punti nel gruppo D, gli stessi della Seleção, cui i messicani hanno imposto il pareggio a reti bianche e passata come prima soltanto grazie alla differenza reti.
“Per me questo è il quarto campionato del Mondo, ma lo sto giocando come se fosse il primo. Cerco di fare la storia con tutti i miei compagni di squadra, dobbiamo procedere un passo alla volta anche se il primo obiettivo l’abbiamo raggiunto. Adesso ce la vedremo con l’Olanda, una grande squadra come abbiamo visto in tutte e tre le partite, ma penso che abbiamo armi che possono far male anche a loro, dobbiamo affrontarli senza timori, come già fatto contro qualsiasi altro avversario”, così si è espresso Rafa Marquez al termine della contesa disputatasi ieri sera all’Arena Pernambuco di Recife, la stessa che quattro giorni fa ha visto gli azzurri cadere per mano della Costa Rica.
Parole che suonano come un’ulteriore chiamata alle armi: il navigato difensore (impiegabile anche in mediana), nato a Zamora il 13 febbraio di 35 anni fa, ha spalle larghe e la giusta esperienza internazionale per ergersi a guida quasi spirituale della Tri.
E non potrebbe essere altrimenti, considerato che in patria il centrale viene giustamente reputato un monumento: le 124 presenze e 2 Gold Cup in Nazionale, con 17 gol all’attivo, costituiscono il degno suggello di una carriera da vincente, documentata da una bacheca personale che annovera 2 Champions League (con il Barcellona), 1 Mondiale per club, 1 Supercoppa Europea, 4 Liga, 1 Coppa del Re, 3 Supercoppe di Spagna, 1 Supercoppa di Francia, 1 Coppa di Lega e una Ligue 1, successi questi ultimi conquistati nel quadriennio al Monaco, società che nel 1999 lo prelevò dall’Atlas di Guadalajara, il club nel quale il giovane Rafael si formò a livello giovanile fino al debutto datato 1996.
L’epoca d’oro il nostro personaggio del giorno l’ha indubbiamente vissuta all’ombra del Camp Nou, dove con Carles Puyol diede vita ad una delle coppie centrali meglio assortite della storia recente, per la fortuna e la gioia di Pep Guardiola. Nell’estate del 2010 l’addio al Barça dopo 240 partite, per provare l’esperienza americana sulle orme dell’altro ex blaugrana Thierry Henry. Avventura protrattasi fino al dicembre del 2012, quando Marquez capì che era giunto finalmente il momento di tornare a casa, ad accoglierlo a braccia aperte c’era il León, team che guarda caso ha trionfato negli ultimi due campionati.
Già, con un baluardo senza tempo come Rafa è tutto più facile, mai nessuno come lui in Messico: unico calciatore a vincere titoli nazionali in tre Paesi diversi, il primo a levare al cielo la Coppa dei Campioni…neanche Hugo Sanchez era riuscito nell’impresa.