RINGHIO OLTRE SILVIO
Il senso di appartenenza, il
Milan sulle pelle. Non ci vuole il mago per capire che
Rino Gattuso va a letto respirando quei colori, rosso e nero, Dna inequivocabile. È nata lì la sua storia, una storia bellissima. Ha ripetuto mille volte
“io dovevo metterci un impegno dieci volte superiore per dimostrare che...”. La tecnica da affinare con la voglia infinita, la bacheca ricca di trofei, poi un nuovo mondo, quello della panchina. Gli avevano detto, suggerito e sussurrato che non era aria per lui, che sarebbe stato meglio evitare. È andato all’estero trovando società improbabili; ha preso qualche schiaffo in Italia, anche a Pisa non se l’è goduta fino in fondo pur avendo vinto un campionato in serie C. E da quelle parti vincere è forse più difficile. Il nuovo
Ringhio (della panchina) è la certificazione di un atto d’amore che si sta trasformando in una purissima gratificazione professionale. Non soltanto può stare lì, a dirigere il traffico e a distribuire i fratini, ma ora riesce a incidere. Le recentissime parole di
Paolo Maldini sono una certificazione, l’ennesima. La sua crescita, la sua voglia, il suo istinto, gli uomini giusti accanto (uno:
Gigi Riccio, il fratello-vice-confidente-confessore). Quando gli dicevano, i suoi nemici amatissimi, che il
Milan sarebbe stato un pieno di grinta e nulla più, evidentemente volevano sparare nel mucchio senza averci messo il minimo occhio per constatare la profondità del suo lavoro. Ci sono stereotipi, frasi fatte e prevenzione, nulla fa più male di questo modo di agire e di sentenziare. I social sono uno strumento prezioso, ogni tanto diventano dei mostri. Ma c’è un galantuomo, il tempo, che un po’ per volta ha restituito quanto gli spettasse, come se fossero interessi maturati in banca, come se fosse arrivato il momento di presentarsi alla cassa. Il nuovo
Ringhio è una miniera di idee, di trasformazioni, di intuizioni tattiche. Ben oltre
Berlusconi e le sue esternazioni che non tengono conto di un lavoro enorme, attento a qualsiasi dettaglio. Silvio dovrebbe spiegare il Milan di
Mihajlovic e di
Montella, gli investimenti al minimo della sua ultima gestione che di sicuro non offuscano la precedente epopea. Ma metterla sul piano di un trequartista e due attaccanti è esercizio stucchevole, vecchio come il mondo. Un modo per disconoscere il senso pieno di un lavoro partito da zero o quasi.
Ringhio sta sempre lì, ben oltre
Silvio, ai bordi della panchina che se trovasse qualche quarto uomo pignolo dovrebbe finire in tribuna un fine settimana sì e l’altro pure. Si sbraccia come un vigile all’incrocio di piazza Venezia, non deve improvvisare ogni domenica (o sabato) con un pallone che rotola, ma pretende che passino dalla teoria alla pratica le mille situazioni provate e riprovate in settimana. Guardatelo con un dito sempre alzato, a indicare i movimenti, gli spostamenti, le diagonali, le ripartenze, i pericoli, tutto. Ogni volta che lo inquadrano è un ghigno, una sofferenza, una speranza. Lì c’è tutto
Gattuso, il manifesto dell’aggiornamento professionale
ad personam che lo ha portato a scalare le montagne. E se qualcuno dirà che il suo
Milan è grinta, corsa, sacrificio e nulla più, bisognerebbe ridisegnare la mappa e insegnare come funziona davvero. Per capire meglio il suo lavoro. L’allenatore, anche il più grande, è legato ai risultati. Una frase banale, ma unica. E che
Gattuso ripete ogni dieci minuti, soprattutto per caricare e stimolare se stesso, per aprire nuovi orizzonti in un sentiero spianato. Non certo per la paura di perdere il posto. I risultati incideranno sempre, chiaro. Ma il nuovo Ringhio è uno spettacolo di partecipazione, abnegazione, semina e primi, chiari, indizi di raccolto. Il nuovo
Ringhio è quasi una fede per chi lo ha amato da quando correva, si sbatteva, vinceva e forse mai pensava, semplicemente neanche immaginava, che sarebbe finito su una panchina.
Foto: Twitter ufficiale Milan