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ROBERTO MANCINI, LO “SPECIAL ONE” D’ITALIA E’ TORNATO

15.11.2014 | 09:11

L’etichetta di vincente l’ha prima subita, poi metabolizzata, dunque acquisita. Roberto Mancini e l’Inter: la storia si ripete, rivive. Una seconda volta. Per una nuova svolta. Quella che fu rappresentata dalla prima gestione nerazzurra del “Mancio”, coincisa con uno scudetto assegnato a tavolino e altri due consecutivi conquistati sul campo. Attimi storici per la società dell’allora presidente Moratti, latitante nell’albo d’oro della massima serie da ben 17 anni. Roberto Mancini è comunque un predestinato. Ha lasciato il segno sia da calciatore che da tecnico, ma lo ha fatto in modo diverso. Genio e sregolatezza in campo, dove il talento e la fantasia sciorinati attraverso mille prodezze non gli hanno forse consentito di raccogliere quanto avrebbe meritato. Aplomb più british in panchina, vuoi per quel look sempre impeccabile, vuoi per uno stile che per certi versi lo identifica nel Mourinho italiano. Talento precocissimo, nato a Jesi il 27 novembre 1964, fa intravedere le sue qualità nel settore giovanile del Bologna, che lo aveva ingaggiato per circa 700mila delle vecchie lire. Non ancora diciassettenne, fa il suo esordio in Serie A il 13 settembre 1981 (Bologna-Cagliari 1-1). 30 presenze in stagione e 9 reti nella massima serie, prima di essere prelevato a suon di miliardi (4) dalla Sampdoria del presidente Mantovani. In blucerchiato trova come compagno di reparto il “gemello del gol” Gianluca Vialli. E insieme i due fanno faville. Quattro coppe Italia, una Supercoppa, una coppa delle Coppe e soprattutto lo storico scudetto del ’90-’91. Da icona della Samp, con 132 reti segnate in 424 partite disputate, Mancini diventa il 10 della Lazio di Cragnotti. E in biancoceleste firma le reti più belle della sua carriera. Due colpi di tacco, uno alla Roma nel derby, l’altro, magico e un po’ folle, al Parma di Buffon. Con quella super squadra allenata da Eriksson vince praticamente tutto, anche uno scudetto (1999-2000) nell’anno del centenario del club. Firma l’ultimo contratto da calciatore con il Leicester City, ma dura soltanto 4 gare e decide di appendere le scarpe al chiodo. Da tecnico dimostra di essere ugualmente vincente. Nonostante la prima esperienza vera sulla panchina della Fiorentina generi diverse polemiche per il suo essere ancora sprovvisto di adeguato patentino, e per l’essere già stato tesserato dalla Lazio, ma come vice dello stesso Eriksson. In viola vince una coppa Italia. Stesso bottino nei due anni successivi sulla panchina della Lazio, prima di approdare, come detto, in nerazzurro. Moratti sceglie il Mancio per la rinascita, e l‘Inter torna a vincere. Il rapporto si chiude nel 2009 in modo non proprio cortese. Mancini vola in Inghilterra, e anche nel Regno Unito riesce a imporre il suo credo e le sue idee, conducendo il Manchester City di Balotelli, Tevez e Aguero alla vittoria della Premier League nel 2012. Verrà esonerato l’anno successivo, per poi trovare sistemazione in Turchia nelle file del Galatasaray. Fa in tempo a eliminare dalla Champions la Juve, squadra per cui simpatizzava da piccolo e alla quale è stato vicino un paio di volte, da giocatore e da tecnico. Rimpianti nella sua carriera? Di certo la poca continuità concessagli in Nazionale. Ora il ritorno all’Inter. Clamoroso, inaspettato. Con un contratto valido fino al 30 giugno 2017, e uno stipendio da 2,7 milioni di euro netti per il primo anno e 4 netti più bonus per gli altri due, per un totale di 21 milioni lordi in 3 anni. Dalla prossima stagione sarà l’allenatore più pagato della Serie A. “Una nuova stimolante sfida, sono contento di riabbracciare i tifosi nerazzurri”, ha scritto Mancini su Twitter. Lo Special One d’Italia è tornato.