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IL SALUTO DI RE MIRO, LUMINARE DEL GOL

02.11.2016 | 09:20

In questa prima parte di autunno si era parlato di Napoli, quale possibile soluzione tampone dopo l’infortunio di Milik, Deportivo La  Coruña, Legia Varsavia e Cina, nei mesi scorsi di New York, Emirati e ritorno amarcord al Kaiserslautern, giusto per citare le principali destinazioni accostategli recentemente. Niente di tutto ciò: da ieri Miroslav Klose è a tutti gli effetti un ex calciatore, l’annuncio del ritiro è arrivato implicitamente nel comunicato della Federcalcio tedesca, che annunciava l’ingresso del 38enne panzer nello staff di Joachim Löw, il commissario tecnico – freschissimo di rinnovo fino al 2020 – che lo ha voluto per monitorare soprattutto il parco attaccanti. Una prima tappa, in attesa di prendere il patentino da allenatore: “La Nazionale per me è speciale, qui ho festeggiato i miei più grandi successi, momenti che non dimenticherò mai. Per questo motivo ho scelto di tornare a lavorare in Federazione, chiaramente con un altro ruolo. Negli ultimi mesi ho capito di voler restare nel giro, anche se con prospettive diverse. Mi preparerò per sviluppare nuove strategie tecnico-tattiche, ringrazio Löw per l’opportunità accordatami”. Queste le prime parole di Miro nelle nuove vesti. Normale che per lui la maglia della Germania rappresenti un che di speciale, non potrebbe essere altrimenti, considerato che stiamo parlando del miglior marcatore di sempre della Nazionale tedesca, dall’altro delle 71 reti messe a segno in 137 partite (secondo per presenze dietro Matthäus). Il 6 giugno del 2014 si prese lo scettro, detronizzando Gerd Müller  nell’amichevole contro l’Armenia. Poco più di un mese dopo, l’8 luglio, entrò ancor di più nella storia planetaria diventando con 16 gol il capocannoniere di tutti i tempi del Mondiale, superando Ronaldo – ironia della sorte – proprio nel celebre Mineirazo contro il Brasile: il famoso 7-1 in semifinale che aprì la strada verso il trionfo del 13 luglio, quando Re Miro mise le mani sulla Coppa del Mondo nel tempio del Maracanã. Il miglior modo per riscattare la delusione del 2002, quando si vide soffiare il trofeo più ambito proprio da Ronie il Fenomeno, autore della doppietta decisiva nella finale di Yokohama. Nel Mondiale di casa del 2006, con l’Italia a trionfare dopo averlo battuto al penultimo atto, si consolò con la vittoria della classifica marcatori.

Per completare il discorso palmarès, va detto che quello a livello di club non è stato proporzionato alla sconfinata bravura di uno dei migliori bomber di sempre: 2 Bundesliga, 2 Coppe di Germania, 2 Coppe di Lega tedesca (kermesse soppressa nel 2009), 1 Supercoppa di Germania e 1 Coppa Italia, l’indimenticabile – per i tifosi della Lazio – successo del 26 maggio del 2013, quando un gol di Lulic colorò di biancoceleste il cielo della Capitale nel derby contro la Roma di Andreazzoli. Proprio in biancoceleste Klose ha disputato la sua ultima gara ufficiale da professionista: storia del 15 maggio scorso, quando salutò l’Olimpico – con fascia di capitano ad honorem al braccio – segnando su rigore l’ultima delle 64 reti realizzate con l’aquila sul petto, 54 delle quali in Serie A, 10 nelle altre competizioni. Il calcio italiano ha avuto la fortuna di ammirarlo per cinque stagioni, a far data da quel 9 giugno del 2011, quando il club tiberino ne ufficializzò l’acquisto a parametro zero dal Bayern Monaco. Un’intuizione di Lotito, per la quale tutti dovremmo essere grati al presidente della Lazio, progressivamente ridimensionatosi dal punto di vista mediatico dopo l’overdose della prima parte della gestione federale targata Tavecchio. Anche in Italia Miro ha evidenziato le innate qualità di chi il gol ce l’ha nel sangue, mai una polemica anche quando iniziava a essere messo in disparte per motivi anagrafici. “Mi diverto ancora anche se gioco 2 minuti, vorrei continuare per un altro paio d’anni”, ebbe a dire l’ariete tedesco tra febbraio e marzo di questo 2016. In linea con la sua umiltà a dispetto della grandezza in campo, in aderenza al suo carattere da anti-divo innamorato del calcio, lui che teoricamente avrebbe potuto permettersi di tutto. Evidentemente nel giro di 8 mesi le cose sono cambiate, e con esse le valutazioni definitive sul futuro. Nato ad Opole, in Polonia, il 9 giugno del 1978 e trasferitosi in Germania nel 1986, Miroslav Josef Klose si formò nel vivaio del Blaubach-Diedelkopf, compagine del paesino di Kusel dove la famiglia si era stabilizzata. Un anno all’Homburg in Regionalliga, dopodiché la lenta scalata: Kaiserslautern, Werder Brema e Bayern Monaco a partire dal 2007: soltanto a 29 anni il primo – e unico – top club assoluto ad affidargli le chiavi del reparto avanzato. Gol a grappoli, da festeggiare sovente con le celebri capriole: alla fine saranno complessivamente 204 (121 in Bundesliga) quelli messi a referto per le squadre tedesche delle quali ha difeso i colori. Reti spesso non spettacolari: zampate, diagonali, colpi di testa, tap-in, tutto l’essenziale per un luminare degli ultimi 16 metri, famelico e spietato. Chiamarlo banalmente killer d’area di rigore sarebbe stato riduttivo: il mondo del pallone ha perso ufficialmente un’altra stella, Miroslav Klose.

Foto: zimbio.com