Da Genova a Milano la distanza è breve, circa 140 km: meno di due ore di macchina.
Eppure per Mihajlovic, che ai blucerchiati ha lasciato in dote l’Europa League (complici gli imperdonabili errori di Preziosi), la panchina del Milan, sulla carta, rappresenta una grande svolta.
Quantomeno a livello di blasone, perché il nuovo corso Samp - targato Ferrero - dal punto di vista economico ha dimostrato di non aver nulla da invidiare alla recente gestione rossonera. Tutt'altro. A tal proposito, resta da capire se, dopo il garbato rifiuto opposto da Carlo Ancelotti, valgano sempre le parole filtrate durante i giorni del pressing madrileno di Adriano Galliani. Al punto che il presidente Silvio Berlusconi aveva parlato espressamente di "ritorno al caviale e allo champagne" dopo la "mozzarella" propinata da Pippo Inzaghi, auspicandosi l'aggiunta dell'aragosta nel menu in caso di svolta societaria e ribadendo, a tal proposito, che non è comunque sua intenzione cedere il pacchetto di maggioranza.
Di certo per i supporters del Diavolo il ritorno di Carletto avrebbe rappresentato una garanzia in chiave mercato, mentre le richieste di Sinisa saranno comprensibilmente inferiori. Non troppo però, dal momento che il sanguigno 46enne serbo non è uno che si accontenta, vuole vincere ed evidentemente ha accettato la sfida perché pensa che sussistano i presupposti per la ricostruzione. Dal punto di vista squisitamente caratteriale il Milan con Miha ha fatto una scelta ben precisa, optando per un condottiero in grado di dare la scossa, che non guarda in faccia nessuno (basti pensare ai primi giorni di Eto’o, con il quale successivamente instaurò un buon rapporto) e che, anche pubblicamente, non manca di evidenziare il proprio temperamento nei confronti della truppa: lo strattone a Regini al termine del derby con il Genoa rimarrà negli annali. Senza contare che difficilmente dalla sua bocca uscirebbero pseudo giustificazioni come quelle accampate da Inzaghi dopo i risultati negativi raccolti contro l’Atalanta o il Chievo della situazione: con tutto il rispetto per le squadre suddette, chi allena una grande - sia pur in difficoltà - mediaticamente non può concedersi scivoloni dialettici.
La cena andata in scena ieri sera ad Arcore non ha portato all’annuncio, dovremo aspettare ancora qualche ora ed è logico che sia così: Superpippo merita per lo meno che gli venga prima comunicato l’esonero, dopo che due giorni fa era stato costretto a sorbirsi il comunicato ufficiale sul no di Ancelotti.
Tornando al nostro personaggio del giorno, nelle scorse ore hanno fatto capolino sul web le sue dichiarazioni del novembre 2010: “Per come sono fatto io, non potrei mai allenare il Milan, non potrei per rispetto verso i miei vecchi tifosi dell’Inter”. Nerazzurri sempre nei pensieri di Miha, che ad ottobre 2014 proclamò: “Avevo due sogni e li ho già realizzati, il primo era allenare la Serbia, la Nazionale del mio Paese. Il secondo era guidare la Sampdoria, perché qui mi sono riscattato come giocatore e mi piace sempre pagare i miei debiti. Adesso me ne restano due, allenare Lazio e Inter”. Banali peccati veniali nel quale erano incappati, prima di lui, anche mister ai tempi ben più esperti, uno su tutti Fabio Capello (“Mai alla Juve”, ipse dixit quando guidava la Roma). Ad ogni modo, due mesi fa era arrivato il dietrofront, improntato alla professionalità: “Da allenatore devi scegliere i progetti, hai il dovere di far rendere al massimo i tuoi uomini. Insegnando, fissando regole, caricandoli, facendogli sentire l'onore di appartenere al club, ma restando sempre lucido e razionale. Altrimenti non sei un buon tecnico. Se mi chiamasse il Milan? Il mio discorso, naturalmente, vale per qualsiasi club".
Nato a Vukovar il 20 febbraio del 1969, Sinisa si appresta ad intraprendere la sua ennesima esperienza italiana. Quattro le ha vissute da calciatore (Roma, Samp, Lazio e Inter) dopo gli esordi in patria con il Vojvodina e l’anno e mezzo alla Stella Rossa con cui vinse la Coppa dei Campioni nel 1991 a Bari: avversario il Marsiglia, arbitro l’italiano Tullio Lanese.
Altrettante da allenatore: Bologna, Catania, Fiorentina e di nuovo Doria. Tralasciando il biennio da vice di Roberto Mancini all’Inter, subito dopo aver appeso le scarpette al chiodo. Insomma, dal 1992 in poi Mihajlovic ha sempre lavorato all’interno dei nostri confini, eccezion fatta per l’importante parentesi (maggio 2012-novembre 2013) trascorsa da ct sulla panchina della Serbia.
L’ex mago dei calci piazzati, che attualmente conduce con Pirlo - a quota 28 reti - la speciale classifica dei gol su punizione nel nostro massimo campionato, si appresta a chiudere il cerchio lungo il tratto dell’A1 che collega Roma a Milano: furono i giallorossi a portarlo in Italia, passaggio mai ricordato con entusiasmo da Miha che si affermò da giocatore con le maglie delle pluri citate Lazio e Inter, indossando le quali vinse campionati e coppe. E adesso, appunto, Sinisa vede rossonero. Solo a Firenze e, l’estate scorsa, a Genova, aveva potuto mettere bocca nella costruzione delle squadra. Negli altri casi era salito sul treno in corsa: a Bologna per Arrigoni, venendo esonerato dopo 5 mesi con Papadopulo a subentrargli; a Catania per Atzori, conquistando una bella salvezza. Così come la Samp lo chiamò al posto di Delio Rossi, che a sua volta ne aveva raccolto il testimone a Firenze a stagione in corso. Insomma, la vita di Mihajlovic è fatta di incroci, molto presto il più importante diverrà Milan-Inter: il derby della Madonnina, soprattutto quello con Mancio, l’amico di sempre.
Foto: Twitter Sampdoria