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Thiago Motta, Giuntoli, Gasperini, Allegri, la Lazio e tanto altro: Sarri dice tutto

23.05.2024 | 23:59

Maurizio Sarri ha rilasciato un’esclusiva a Sportitalia, la prima dopo le dimissioni del 12 marzo quando aveva deciso di lasciare Lazio senza pensare troppo al contratto. Questa l’intervista integrale e le risposte alle domande di Alfredo Pedullà.

Qui si costruisce il tuo lavoro?

“Si rifette, si studia, si programma, il mio ufficio è un rifugio per lo studio di tante ore al giorno, cercando di avere l’umiltà di ripartire sempre dalle sensazioni anche contraddittorie per capire dove si è sbagliato qualcosa”.

Siamo a 70 giorni circa dalla tua decisione di lasciare la Lazio. Cosa ti è rimasto?

“Ti rimangono anche tante sensazioni anche contraddittorie tra di loro, è stata un’esperienza bella a livello globale, abbiamo fatto il miglior risultato dell’era Lotito. Un pizzico di delusione per l’ultimo mese, ma non può scalfire completamente la storia dei tre anni. Secondo me ho preso la decisione giusta, la squadra aveva bisogno di una scossa forte in quel momento, a un certo punto mi sono reso conto che potevo darla solo io, prendendo una decisione forte. Nell’ultimo mese c’era la sensazione che, soprattutto nei giocatori che erano lì da tanto, facevo molta fatica a toglierli da uno stato di piattezza mentale; era giusto prendere una decisione forte per toglierli da una situazione mentale che li faceva giocare in modo triste”.

Le partite tristi non rientrano nel tuo DNA.

“No, perché le partite, se le giochi con mentalità, anche se sei ordinato, nove su dieci perdi”.

Ci stavi pensando anche nei mesi precedenti, fermo restando che nell’ultima intervista avevi detto una cosa non passata inosservata: “Un allenatore normale, dopo quanto fatto e quanto ricevuto, si dimette”.

“Ti dissi che se avessi dovuto fare una scelta ludica, egoistica, quella sarebbe stata la migliore perché era difficile ripetersi su quei livello. Il risultato (è stato sopravvalutato) è stato frutto di un’annata eccezionale, in un’annata in cui hanno fallito squadre sulla carta più forti di noi a livello di organico; si è innescato un meccanismo di aspettative troppo elevate. Ci sono stati momenti in cui potevo dare le dimissioni.

Cambieresti decisione, tornassi indietro?

“Non lo so, le decisioni vanno valutate in base allo stato d’animo di certi momenti. Alla Lazio stavo bene con la piazza e i tifosi, ero riconoscente con un gruppo di giocatori che aveva fatto una stagione d’altissimo livello; mi sembrava di tradire andando via quel momento lì. Se mi parli di livello di scelta lucida forse era meglio. Non posso rinnegare la scelta che ho fatto con l’animo e con il cuore, meno con la testa”.

Hai lasciato un anno di contratto, cosa più unica che rara nel mondo del calcio.

“E’ anche giusto, se te arrivi a prendere una decisione di quel tipo, devi farne le spese anche te. Secondo me ci sono momenti in cui quella scelta va fatta”.

Alla fine qualcuno ha immaginato che non ci fosse più lo sprint in quella Lazio, soprattutto nei giocatori più rappresentativi del gruppo.

“Non si può pensare che ci sia dietro una situazione particolare, non ho alcun dubbio su questo. Si è venuta a creare solamente una situazione in cui facevo grande fatica a eliminare sensazioni negative che il gruppo si portava in campo. Immobile? Era un aspetto generalizzato. I giocatori che erano lì da più anni erano in una situazione mentale difficile. A volte ci sono situazioni in cui mentalmente la squadra non va e ci va una scossa forte. I nuovi erano probabilmente in una condizione mentale diversa. Ci sono situazioni in cui la squadra si appiattisce, avevo fiducia nei giocatori. Non stava arrivando la scossa e ho cercato di darla io”.

Kamada non ha dato con te quello che ha dato dopo. Spiegazione?

“Sai, ha fatto fatica cinque mesi Platini quando è arrivato in Italia. Ci sta che un ragazzo giapponese faccia fatica all’inizio, nonostante fosse già in Europa. Kamada in allenamento si vedeva che era un giocatore di buon livello, non avevo dubbi sulla sua qualità tecnica di buon livello, nei mesi in cui c’ero io ha fatto fatica”.

Per te è stato un periodo difficile con la scomparsa di tua mamma. Da dove riparte Maurizio Sarri?

“La morte del genitore non serve, è solo un’esperienza dolorosa. A livello calcistico ci sono momenti in cui è troppo facile dare la colpa a tutti per giustificare se stessi. Con lo staff stiamo cercando di fare un percorso per vedere e capire dove abbiamo sbagliato. Noi non possiamo risolvere i problemi delle altre componenti nella situazione globale, le responsabilità non sono mai solo da una parte, ma stiamo discutendo per capire cosa possiamo fare di meglio”.

Emerge un aspetto particolare dalla vostra autocritica?

“Probabilmente tanti errori vengono fuori dall’inconscio. Parlando con il mio staff io sono rimasto deluso dal mercato estivo e questa mia insoddisfazione l’ho trasmessa alla squadra. A livello di ‘conscio’ avevo cercato giocatori con lo stesso entusiasmo di prima”.

“Il mio prossimo progetto deve essere arrapante”. Puoi spiegare questa dichiarazione?

“Stai facendo una domanda strana. Arrapante solitamente si abbina a una donna (scherza, ndr). Cerco qualcosa di stimolante, una proposta che inneschi questo tipo di sensazioni. Mi piacerebbe fare un percorso con una squadra abbastanza giovane, che possa stare insieme in un periodo medio-lungo, per vedere dove si può arrivare. Si parla di giovani, a volte, in modo insensato, i giocatori sono forti e meno forti. I giocatori giovani forti possono essere plasmati, quindi è più stimolante per un allenatore. Mi piacerebbe un percorso con giocatori di età media bassa. Anche con una società che ha voglia di crescere, senza fretta. Ma che abbia le idee chiare”.

Hai detto: “Non chiedetemi più della Fiorentina perché altrimenti vado a bussare al Viola Park”.

“Quando si parla con voi giornalisti tirare sempre fuori la frase dal contesto… Io non posso tornare a casa e leggere che mi sono proposto alla Fiorentina. Io non mi propongo a nessuno. Abitando in questa zona ci sono cento persone che mi chiedono perché non voglio andare a Firenze. Ma non mai stata alcuna trattativa e nemmeno un approccio, non è che non ci voglio andare. La battuta del Viola Park era una frase per stemperare le domande che mi fanno persone della zona”.

L’allenatore dell’anno è Motta?

“Thiago Motta bellissima stagione, bella qualità di calcio espresso, squadra giovane e bella. Lo affiancherei a Baroni, è al secondo miracolo consecutivo, altra stagione straordinaria in una situazione difficile. A livello mediatico ci sono allenatori di cui si parla molto, altri di cui si parla poco”.

Da Empoli a Napoli, da Bologna alla Juve. Cosa consigli a Motta? Deve modificare qualcosa? Deve assumere un abito particolare o non snaturarsi?

“Non so se Thiago andrà alla Juve, è un’ipotesi. Nel corso della sua carriera allenerà squadre di altissimo livello, deve cercare di restare com’è ora, senza piegarsi al nome della società in cui andare a lavorare. E’ intelligente, sa quali sono le caratteristiche del modo di fare calcio”.

E’ quello che hai fatto tu passando da Empoli a Napoli…

“Da Empoli a Napoli ho trovato una squadra molto adatta al modo di pensare calcio, non c’è mai stato bisogno di snaturarsi, né da parte mia né dai giocatori”.

Non sei mai stato molto simpatico mediaticamente. Se avessi fatto tu quello che ha fatto Allegri, ti avrebbero dato l’ergastolo?

“A me non è mai stato perdonato niente. Purtroppo faccio parte di quei pochi che vengono dal basso, e quando arrivi in alto, tanti gli vogliono ricordare che arrivi dal basso. Secondo me è una qualità, non un difetto da rinfacciare. Ho spesso avuto queste sensazioni, non si può giudicare l’atteggiamento di un allenatore. Ieri sera ho letto un’altra cosa che mi ha lasciato perplesso. In un club in cui “Vincere è l’unica cosa che conta”, probabilmente non sono soddisfatti di aver vinto solo la Coppa Italia. Non è una critica alla società, ma una constatazione. Può essere che Allegri abbia fatto una grande stagione, che la squadra non potesse fare di più. Sicuramente non mi avrebbero trattato benissimo. Ma non facciamo vittimismo: ognuno deve avere la consapevolezza di come è trattata la propria figura a livello mediatico, e comportarsi di conseguenza. Io sono orgoglioso da dove vengo”.

La tua vittoria dello Scudetto alla Juve sembrava un portaombrelli. Che idea ti sei fatto? Quello scudetto veniva visto come ‘un Sarri rompiscatole perché la Juve non è allenabile’…

“Il fatto che la Juve non è allenabile tra virgolette, io non l’ho mai detto. Mi è stato attribuito questo virgolettato, va inserito in un contesto del club che vinceva da otto anni consecutivi. Il campionato veniva dato per scontato, il club faceva passare l’idea che dovessimo vincere la Champions; in realtà in Europa eravamo il dodicesimo fatturato, c’erano undici squadre che spendevano di più. Mi sembrava un po’ troppo ottimistico. Poi che si voglia vincere lo stesso è innegabile, che si sbandieri l’obbligo all’esterno è meno comprensibile”.

Giuntoli-Motta coppia da ciclo?

“Penso di sì, perché Thiago è un allenatore forte, che ha idee. Forte, fa crescere giocatori, Cristiano è un fuoriclasse assoluto nel suo ruolo. Competente, determinato, tosto, grande capacità nella scelta dei giocatori, della gestione, della scelta dell’allenatore. Coppia destinata a crescere e fare benissimo”.

Come riparte il Napoli secondo te?

“Riparte da una squadra forte. Quest’anno dopo l’Inter, il Napoli era la squadra tecnicamente più forte. Ci sono delle stagioni di questo tipo, vinci un campionato a Napoli, il down che puoi avere dopo è amplificato. A Napoli tutto è amplificato, si è ritrovato in difficoltà e si è perso. Non è diventata scarsa, ci sono le basi per ricostruirla in modo forte”.

Ma non bisogna cambiare allenatore…

“Questo dipenderà dalla società, ha dimostrato in passato che nella scelta dell’allenatore, magari andando controcorrente, non ha sbagliato. Dipenderà da loro”.

Hai seguito la vicenda societaria dell’Inter?

“Ho seguito poco. Mi piace andare in società in cui c’è una faccia come proprietario, altrimenti ti ritrovi in situazioni di questo tipo, con fondi d’investimenti, che hanno un unico scopo: rivenderla per guadagnarci. La situazione Inter mi sembra un po’ particolare, ma il calcio sta diventando questo”.

Tecnicamente, come hai visto la crescita di Inzaghi?

“Penso che abbiano fatto una stagione di grande livello; l’anno scorso sono arrivati in finale di Champions, sta facendo molto bene, la squadra è forte. Un po’ da ringiovanire, mi sembra che si stiano muovendo per farlo. Ha uno dei centrocampo più forti d’Europa. Non so se la squadra rimane questa; se così fosse, ripartiranno un passo avanti alle altre. Poi le stagioni non sembre hanno la giusta inerzia, in questo momento sono un passo avanti a tutti”.

Gli allenatori italiani rimangono i migliori al mondo? Il Milan probabilmente opta per una scelta estera.

“Non mi far rispondere, altrimenti mi sto proponendo al Milan. Se si parla di allenatori a livello medio i nostri sono i migliori di tutti, ma non significa che dall’estero non possano arrivarne di bravi. Se si parla di livello medio, la mia sensazione, vedendo anche chi ho affrontato, i tecnici italiani sono superiori a quelli degli altri Paesi. E’ un discorso talmente generico che non nega che all’estero ci sono allenatori molto forti”.

Se fossi un presidente o una proprietà, sceglieresti un tecnico italiano…

“Per mentalità, se potessi scegliere io, non solo ne prenderei uno italiano, ma cercherei di avere più giocatori italiani possibili. L’identità si forma così, basta ricordare la Juve del ciclo vincente. Io farei questo: stai parlando di società che ormai sono multinazionali e pensano in maniera diversa”.

A poche settimane dagli Europei: la Nazionale può vincere?

“Abbiamo una squadra di buon livello; da qui a vincere un torneo, non un campionato, ci sono 2mila fattori. Mi scappa spesso da ridere quando i giornalisti rivelano le nuove tendenze tattiche in questo tipo di torneo. E’ una cazzata assoluta. Si parla di tendenze in un torneo di 20 giorni? Conta l’aspetto fisico, mentale, c’è il rischio della stanchezza mentale dei nostri giocatori. Da noi il calcio è più pesante, non è facile arrivarci con la testa pulita. La nostra squadra può essere competitiva”.

Cos’ha portato Spalletti?

“Spalletti sta portando entusiasmo, freschezza tattica e mentale, senso d’appartenenza, sta lavorando molto in questo senso. Penso stia facendo bene”.

Scamacca attaccante ideale?

“Negli ultimi tre mesi ha dato ottime dimostrazioni, penso sarà sicuramente nella rosa dell’Europeo. Con la speranza che possa essere la sorpresa in positivo”.

Il tuo 4-3-3 resta un riferimento per la prospettiva? In cosa è modificabile e perfezionabile questo modello?

“Penso tattica e sistema c’entrino poco. Lo stile di gioco che conta, in questo momento si fa passare il calcio moderno un calcio ‘uomo contro uomo’ che si giocava negli anni ’70 con il Libero, senza grandi coperture. Si sta spacciando come calcio moderno ed europeo. Se guardi le semifinali, non è assolutamente vero che si gioca così. C’è da fare un distinguo tra i precursori e i seguaci. Quello di Gasp è molto raffinato, con una serie di scalature molto dettagliate, i seguaci adattano un ‘uomo contro uomo’ a tutto campo. Gasperini è un tecnico straordinario, gioca in modo molto differente dal mio, ma ha una bellissima modalità d’interpretazione. I seguaci che hanno estremizzato non mi piacciono. Si è innescato un modo di giocare eccessivo”.

De Zerbi ha rinunciato un contratto di due anni per aspettare. C’è ancora qualcuno che aspetta rinunciando a un contratto oneroso.

“Se gli devo consigliare una cosa, gli direi di rimanere in Premier. Io ho fatto quell’errore, se tornassi indietro non lo rifarei. Sarei rimasto al Chelsea, consapevole che probabilmente l’anno successivo non l’avrei finito. Se mi telefona, gli dico di restare là.”.

Questo Chelsea che spende così tanti soldi, quando lo ritroveresti mai?

“Abramovic rallentò gli investimenti perché poteva entrare in Inghilterra solo con il visto. In quel Chelsea lì un tecnico non ha finito due anni”.

Tu in Premier non ci sei tornato…

“I momenti sono decisivi nelle scelte: uno torna a casa, si rende conto che ha bisogno di spurgare mentalmente, stare calmo per qualche mese; con una situazione familiare difficile, mia mamma stava male. Non sarei andato da nessuna parte”.

Vogliamo ricordare questo Clinic che hai organizzato? Perché nasce, come nasce?

“Nasce per dare una mano a una società del territorio in cui mio figlio è entrato per dare una mano e si è trovato presidente. Ha messo su un’iniziativa alla quale partecipiamo molto volentieri. E’ anche una bella iniziativa: 5-6-7 giugno, sarò presente in tutte e tre le giornate. La prima è dedicata soprattutto ai preparatori atletici, sarà un livello altissimo. Il primo intervento sarà di Tognaccini, che è un’istituzione del mestiere, poi parleranno Losi e Ranzato, i due preparatori del mio staff: uno di campo, l’altro specialista di forza e lavori individuali. Al dibattito parteciperò anche io per capire le evoluzioni di quel ruolo all’interno degli staff. Non è più un ruolo che può essere svolto senza essere in sinergia con l’allenatore. Poi sarà la volta dei preparatori atletici. Parteciperà anche Provedel, se non sarà in Nazionale. La componente allenatore deve far capire che ormai il ruolo deve essere allenato in relazione alle richieste dell’allenatore. Le parate sono tre-quattro a partita, i tocchi a partita sono 40. In base a quanto viene sollecitato il portiere, gli allenamenti prendono uno specifico indirizzo. Nell’ultimo giorno intervengo io e anche Alessio Dionisi, che tirerò in ballo anche per capire le differenze tra tecnici. Parleremo della preparazione della partita, da video al campo, gli allenamenti specifici. Insomma, una sequenza globale. L’argomento base è solo la base scatenante per la domanda e risposta”.

Ti hanno scritto tanti tifosi della Lazio: vuoi dare un messaggio di saluto?

“Sono stati una sorpresa in positivo, un popolo bello. Molto spesso in Italia abbiamo un’idea sbagliata del popolo laziale, sono etichettati. Sono un popolo bellissimo, allo stadio vedi i genitori con i figli, indirizzati subito da piccolissimi. Popolo bellissimo, sorprendente”.

La festa dei 50 anni dal famoso scudetto ti ha colpito?

“Sì, mi ha fatto dolore non esserci. La storia di Maestrelli è un imprinting da quando ero ragazzino. Questo condottiero con grande personalità. La festa l’avrei fatta molto volentieri”.

Avremo novità prima del Clinic?

“A livello diretto ho avuto contatti diretti solo con società straniere. Mi sto prendendo un po’ di tempo, è abbastanza normale. Se mi cerca un club straniero, devo mettermi lì e guardare dieci partite almeno. Ma non è sufficiente. E’ inutile farsi un pensiero generale, devo considerare il contesto. Occorrono 7-8 giorni per fare queste valutazioni. Valutazioni che richiedo a me stesso e al mio staff. Devono mandarmi una relazione indipendente da quello che penso io. L’Italia è sempre l’Italia: nella vita della persona ci sono priorità che vanno oltre il calcio; in questo momento ho responsabilità personali, vediamo”.

Vuoi mandare un messaggio a Lotito?

“Con Claudio sono stato bene, è un personaggio diverso da quello che appare pubblicamente. Mai un’interferenza tecnica, che è un grandissimo pregio. Ci sono stato bene. Sul piano degli investimenti avrei fatto cose decisamente diverse. Come dicevo sempre a tutti, la società è la sua, le scelte è anche giusto le faccia lui. Non ero d’accordo sulle azioni di quest’anno, ma sono stato bene”.