Zoff: “Non mi sento una leggenda, solo uno che ha lavorato bene. Scirea invece sì, lo era. Quanto mi manca il suo silenzio”

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Bellissima intervista di Dino Zoff che ha parlato a La Repubblica, per i 40 anni della vittoria dei Mondiali del 1982. Queste le parole dell'ex portiere: "Invecchiare è dura ma speriamo che duri. Non mi sento una leggenda, mi sento una persona che ha lavorato bene. Ma niente di quello che ho fatto resterà. Non ho inciso su niente, potevo fare meglio, potevo fare di più. Potevo dire le parole che non ho detto". Quali? "Ti voglio bene a Enzo Bearzot non l'ho detto mai, e ora me ne pento, però l'ho amato più di mio padre. Noi friulani ci vergogniamo di tutto". Dopo Italia-Brasile, voi ancora in campo, lei diede quel bellissimo bacio tra guancia e collo al "vecio" Enzo che stava parlando con la tivù. "Io e lui non siamo mai più tornati sull'episodio, credo per pudore. Ma quel bacio glielo ridarei altre cento volte perché lui era il più grande di tutti, il Mundial lo vincemmo grazie a Bearzot che è stato prima offeso, poi osannato falsamente e infine dimenticato: non perdonerò mai chi gli ha fatto questo. Enzo fu trattato con violenza, fu malmenato dalla critica. Tuttavia non ne soffrì, perché sapeva come va il mondo. Lo ferirono molto di più i complimenti fasulli". Il saggio della Nazionale: "Io ero soltanto un timido che passava per migliore di quanto fosse. Quello perfetto era Gaetano Scirea, lui sì. Gaetano era l'essenza dello stile di un uomo, la forma che diventa sostanza. Mi chiedevo come facesse. Arrivai al punto di invidiarlo, anche se eravamo amici fraterni, e ora di questo mi vergogno. Lui è una Leggenda, non io". Sul Mondiale del 1982: "Ci trattarono da pezzenti e questo fece ruggire il nostro orgoglio. Il gruppo, cioè il bene supremo di Bearzot, diventò un corpo solo". L'Argentina: "La partita più bella di tutte, una battaglia sublime contro un avversario feroce e furbo. Ma a loro non bastò. Giocai per la prima e ultima volta contro Maradona, una creatura non di questa terra, bastava uno sguardo per capirlo. Il mio amico Luciano Castellini mi diceva che Diego poteva fare gol anche con la spalla, colpendo forte come se fosse stato il piede". Il Brasile e l'esplosione di Rossi: "Senza Bearzot che l'avrebbe difeso comunque, Paolo non sarebbe diventato quello che diventò. Battuto anche Zico, eravamo sicuri che niente ci avrebbe fermato. Povero Paolo, dolcissimo Paolo. Siamo proprio fatti di niente". Sulla finale: "Al Bernabeu non ne avevo più, ero scarico ma per fortuna non se ne accorse nessuno. Furono bravi i miei compagni a nasconderlo, tenendo lontani i tedeschi". Voleva baciare la regina di Spagna: "Sì, e per fortuna mi fermarono in tempo. Ero fuori di testa, ero in gloria e non capivo niente. E quasi niente ricordo, se non che uscii dallo stadio per ultimo, dopo l'antidoping e le interviste, sul furgone del magazziniere. I compagni erano andati a fare baldoria, solo Scirea mi aspettò in albergo, io credo per gentilezza, perché ero il più vecchio". La scena con Scirea, gli unici a non andare in discoteca: "Non potevamo certo sporcare la felicità ballando in discoteca, così la assaporammo fino all'ultima goccia insieme alla sigaretta e a un bicchiere di vino. Ricordo il silenzio di quella stanza, il silenzio di Gaetano che mi manca ogni giorno di più". È stato difficile smettere di essere Zoff? "È stato come quando finisce la primavera, come quando muore il giorno. Ma anche una serata può essere bella, se pure la giovinezza non ritorna". Qualche anno fa, lei rischiò di lasciarci. Come andò? "Encefalite virale: non riuscivo più a camminare. Il medico mi disse che se il virus avesse attaccato il cervelletto, addio. Non ho alcun merito, sono semplicemente rimasto in campo". E adesso, Dino? "Se la vita dura un metro, mi restano pochi centimetri ma la passione non finisce. Ho cercato di esserne degno e rispettarla. Ora spero soltanto di rimanere vigile". Foto: Facebook